21 Luglio 2025
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Gli imprenditori sono una componente cruciale della società e hanno il compito d’innovare la produzione, difendere gli spazi di mercato, contrastare le logiche stataliste. Per questo è grave che il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, abbia attaccato gli atenei online: sorti dal basso per dare risposte a genuine domande di formazione.
Una delle ragioni della bassa produttività italiana risiede proprio nel limitato numero di laureati. Se negli Stati Uniti nella fascia 25-64 anni la percentuale dei laureati è del 50%, da noi è solo del 20%; e perfino meglio degli Stati Uniti fanno l’Irlanda, il Canada e la Corea del Sud. Questa è una vera palla al piede ed è chiaro che, con il loro successo tra i lavoratori adulti che vogliono mettersi in gioco, le telematiche stiano almeno in parte rimediando a ciò. Invece che avversarle, allora, andrebbero sostenute e incoraggiate.
Orsini si è schierato contro le università private telematiche sulla base di argomenti assai deboli: a partire dal rapporto numerico tra docenti e studenti, come se però fosse la stessa cosa erogare lezioni in rete oppure entro aule affollate. Ha usato questo tema, come fanno i difensori dell’esistente, invocando l’eccellenza.
Discutere sul valore di questo o quell’ateneo è senza dubbio importante. Se però si decide di difendere la qualità lo si deve fare dinanzi ai soggetti privati ma egualmente a quelli pubblici, dinanzi a quelli online come a quelli tradizionali. Senza dimenticare che se non tutti hanno le risorse e le qualità per andare a Harvard, dobbiamo allora riconoscere il ruolo degli atenei modesti e di provincia (ce ne sono molti in Italia), lasciando che svolgano la loro funzione.
Per giunta siamo nel mezzo di una rivoluzione, tra telematica e intelligenza artificiale, che non riguarderà solo la produzione delle autovetture o la lavorazione del legno, ma soprattutto i luoghi del sapere. Tanto più che s’è affacciata al mondo una generazione di «nativi digitali» che usa le nuove tecnologie senza i pregiudizi dei cinquantenni.
Dinanzi a simili cambiamenti, è normale che vi siano forti resistenze da parte delle baronie parastatali e di chi è costretto a ripensare il proprio ruolo nella società. Diverso, però, dovrebbe essere l’atteggiamento di quanti sono chiamati a difendere le ragioni della parte più produttiva dell’Italia, che non accetta il rapido declino imboccato negli ultimi infausti tre decenni.