A cento anni dalla nascita, l'eredità della Lady di Ferro è sempre valida e attuale, per i suoi contenuti e per l'inimitabile anticonformismo
13 Ottobre 2025
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Politiche pubbliche
Quali sono i tratti fondamentali che ancora oggi, dopo tanti anni, rendono così speciale l’esperienza di Margaret Thatcher? E soprattutto quali sono i principi al centro della sua battaglia che ancora restano fondamentali? Perché tornare con la mente ai dibattiti degli anni Ottanta dovrebbe aiutarci, in un mondo tanto cambiato, a dirigerci nella giusta direzione?
Sull’esperienza umana e politica della Thatcher, di cui ricorrono i cento anni dalla nascita (il 13 ottobre 1925 a Grantham; morì a Londra l’8 aprile 2013) ovviamente si possono dire molte cose. Se però si prova a sintetizzare quella lezione con ogni probabilità è bene sottolineare come tale donna caparbia e coraggiosa abbia sempre difeso il primato della società sul potere.
Non a caso i cantori del sinistrismo hanno ripetutamente contestato la Thatcher per quella sua affermazione, tanto ficcante quanto provocatoria, secondo cui la società non esisterebbe. E in quella formula s’è voluta leggere una totale mancanza di senso della comunità, unita a una celebrazione dell’egoismo. Niente di più falso.
Quando nel 1987, nel corso di un’intervista, pronunciò quelle parole Maggie si espresse così: “La società non esiste. Esistono gli uomini, le donne e le famiglie”. E il riferimento ai nuclei familiari è cruciale, dato che la Lady di Ferro aveva ben chiaro come l’espansione dei poteri pubblici comporti non soltanto una riduzione della libertà e della responsabilità, ma anche una dissoluzione dei rapporti umani più importanti: a partire da quelli interni al proprio nucleo di affetti.
Quando educazione e previdenza, d’altra parte, diventano un affare di Stato, è normale che nessuno si senta più che tanto chiamato a prendersi cura del genitore o del figlio. Con quella frase, allora, la Thatcher denunciò una sbagliata visione delle relazioni umane, basata su una nozione astratta (la società) perfettamente funzionale agli interessi del principale interprete del potere moderno (lo Stato). Negando la società in nome dei singoli e delle loro famiglie, la Thatcher voleva celebrare la dignità di ogni essere umano, che non può essere annullato in finzioni collettive (la nazione, la classe e, di conseguenza, anche la società), né può essere privato della sua libertà.
Come una donna tanto controcorrente abbia potuto entrare a Downing Street resta, sotto vari punti di vista, ancora un mistero. Basti ricordare che nel 1978, poco prima di vincere le elezioni, Maggie era arrivata a dire che “nessuno ricorderebbe il Buon Samaritano se avesse avuto solo buone intenzioni: aveva anche del denaro”. Una formula che illustra con chiarezza il senso della sua filosofia, e cioè che la compassione deve nascere dall’individuo, non dallo Stato; che soltanto una società che genera ricchezza può permettersi di essere altruista; che la libertà economica è una premessa morale, non solo materiale.
Proveniente da una famiglia modesta e femmina in una società ancora molto maschile, Maggie costruì la sua carriera in un’Inghilterra caratterizzata dal persistere di alte barriere di classe e di genere. Prima si laureò in chimica (lavorando per qualche anno come ricercatrice) e poi conseguì una laurea pure in giurisprudenza. Benché avesse un background intellettuale solidissimo, scelse sempre di restare ancorata alle buone ragioni di quello che gli anglosassoni chiamano il “common sense”, ossia alla ragionevolezza di chi sa guardare all’essenza dei problemi. In particolare, era persuasa che ognuno dovesse essere chiamato a essere responsabile di quanto fa e che la demagogia dovesse essere avversata in ogni modo: perché una società che premia la pigrizia e induce ognuno a ricercare sussidi pubblici può soltanto naufragare. Vivere dei soldi altrui produce esiti disastrosi, dato che come le piaceva sottolineare “il problema del socialismo è che prima o poi i soldi degli altri finiscono”.
Va anche ricordato che il Regno Unito che nel 1979 ereditò dai premier laburisti Harold Wilson e James Callaghan era un Paese in ginocchio. Dinanzi alla perdita dell’Impero e allo sviluppo di crescenti relazioni commerciali tra i Paesi della Comunità europea (di cui il Regno Unito per lungo tempo non fece parte), i governi londinesi non avevano saputo fare altro che accrescere l’intervento pubblico. D’altra parte, già dal 1948 nel Regno Unito era stato istituito un sistema sanitario nazionale che sarà il modello a cui s’ispirerà anche l’Italia che aveva svuotato ogni logica basata su concorrenza e responsabilità, proprio mentre in parallelo il sistema previdenziale di Stato assumeva nuove dimensioni. Se i laburisti avevano sempre premuto il piede sull’acceleratore di riforme volte ad accrescere il potere delle burocrazie, i conservatori non avevano invertito la direzione: nella migliore delle ipotesi avevano solo ridotto un poco la velocità. Tutto cambiò quando la figlia del droghiere di Grantham rigettò la logica morale, ancor prima che economica, di quello Stato sociale sempre più invadente.
Uno dei meriti maggiori della signora Thatcher fu il suo avere accettato d’interpretare, nel Regno Unito degli anni Ottanta, la parte della donna senza cuore, spietata, odiosa, priva di empatia. Usando le categorie del dibattito italiano degli anni Cinquanta del secolo scorso, Maggie scelse la serietà rigorosa di Luigi Sturzo contro il melodramma strappalacrime di Giorgio La Pira, anche se il pubblico ama la demagogia, la spesa pubblica, l’elargizione di prebende. Una delle sue frasi più note è che “se vuoi essere amato, questo significa che sei pronto a compromettere tutto e in ogni momento, e che di conseguenza non realizzerai nulla”. Scelse l’impopolarità per senso di responsabilità: preferì essere condannata dai benpensanti piuttosto che essere complice di politiche destinate a moltiplicare miseria e sudditanza.
Quando usò la mano forte contro i minatori (generando, indirettamente, un ampio filone del cinema inglese: basti pensare a Ken Loach) lo fece a ragion veduta. Era consapevole che non soltanto si trattava di posti insalubri, ma anche di attività anti-economiche. Nelle miniere venivano bruciate molte risorse, distruggendo molta più occupazione di quanta non se ne creasse. La storia le ha dato ragione.
La Thatcher combatté dunque la buona battaglia: per la società e contro il potere. Purtroppo non la vinse, se si considera che nei suoi anni a Downing Street la spesa pubblica non diminuì e neppure la tassazione. Quei suoi tagli, che pure furono presentati come “macelleria sociale”, non riuscirono a invertire la direzione ormai presa da uno Stato sociale fuori controllo e sempre più invadente. Nonostante le molte privatizzazioni e le tante riforme (si pensi alle liberalizzazioni dei servizi), il pesante welfare State britannico seppe resistere e ancora oggi è un tremendo gravame sulla società britannica.
Le battaglie ideali che ha combattuto, però, sono rimaste vive anche dopo la sua uscita di scena: basti pensare alla difesa dell’autogoverno contro Bruxelles. Non c’è dubbio che la Thatcher apprezzasse l’Europa del libero scambio, ma mai avrebbe accettato l’imporsi di un potere sovranazionale autorizzato a dettare la propria volontà a popolazioni tanto differenti. Era perfettamente consapevole che il rischio del Super-Stato era concreto e non perse occasione si pensi al celebre discorso di Bruges di denunciarlo ad alta voce: “L’Europa sarà più forte proprio perché avrà la Francia come Francia, la Spagna come Spagna, la Gran Bretagna come Gran Bretagna: ciascuna con le proprie tradizioni e identità”. Di tutta evidenza la Brexit ha origini thatcheriane.
Questo è solo uno dei molti fronti su cui conseguì risultati duraturi. In particolare, la signora Thatcher comprese la necessità di una controffensiva culturale contro il nichilismo statalista e l’idolatria del potere, contro l’irrazionalità dei pretesi esperti e il conformismo di una intellighenzia occidentale allo sbando. Questo fa sì che la sua lezione resti quanto mai attuale, anche se oggi avrebbe bisogno di trovare nuovi interpreti: nel Regno Unito, ma anche nell’Europa continentale e in Italia.
Quasi quarant’anni dopo la sua uscita da Downing Street, gli Stati europei sono sempre più indebitati e sovraccarichi di funzionari, rappresentando un terribile intralcio a ogni iniziativa. La tassazione complessiva, che già era altissima negli anni Ottanta, è ulteriormente aumentata: soprattutto nelle imposte indirette e nei contributi sociali obbligatori. Se prendiamo l’Italia, ad esempio, nel 1980 il prelievo complessivo era intorno al 33%, mentre ora è al 42%.
Maggie aveva una visione che poggiava su alcuni principi e che era basata sulla necessità di essere dalla parte di chi lavora, e non già di chi vuole ottenere rendite. Voleva che la solidarietà fosse spontanea e anche per questo motivo orientata a fare davvero il bene dei beneficiari. Non v’è dubbio che oggi molte delle idee thatcheriane sarebbero preziose anche nella politica di oggi, che pure deve confrontarsi con tante altre questioni, in parte nuove. Ma bisogna ricordare come la figlia del droghiere laureatasi a Oxford sarebbe stata assai diversa, ad esempio, se non avesse frequentato l’Institute of Economic Affairs (Iea) e altre istituzioni volte a difendere i diritti individuali, la concorrenza, il mercato. Molto presto Maggie comprese che la rinascita doveva muovere dalla cultura e che si trattava di tradurre in azione i testi di Frédéric Bastiat e Friedrich von Hayek, sapendo anche volgarizzare quelle lezioni.