Ma per gli Eurobond servono dei limiti

Debito comune per l’Ucraina: una scelta meno rischiosa degli asset russi, ma che apre il problema dei limiti europei

22 Dicembre 2025

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Teoria e scienze sociali

L’uso degli asset russi per sostenere l’Ucraina è entrato papa e è uscito cardinale dal Consiglio europeo. Era la soluzione più accreditata, al punto da sembrare l’unica percorribile. Ma alla fine di una riunione trascinatasi fino a notte fonda i capi di Stato e di governo hanno preso un’altra strada: un’emissione di debito di 90 miliardi di euro, a cui non parteciperanno Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Le conclusioni del Consiglio europeo rappresentano una buona notizia, per tre ragioni. La prima è che, a dispetto dei lamenti funebri, l’Unione ha battuto un colpo. Dai discorsi, sui quali non è seconda a nessuno, è passata anche stavolta ai fatti. Le sue fragilità sono tante e serie, ma prima di dire che sia un vaso di coccio tra vasi di ferro dovremmo riflettere su quanto sia difficile e faticoso adottare scelte comuni senza essere uno Stato, senza parlare un unico linguaggio, senza avere le stesse finanze. Se guardassimo indietro, ci accorgeremmo che di passi avanti l’Europa ne ha fatti anche dopo l’età dell’entusiasmo, quella del consolidamento di uno spazio comune di scambio, dell’accordo di Schengen, dell’avvio del programma Erasmus, della cittadinanza europea, della trasformazione dalle Comunità economiche a una sola Unione. Mentre le crepe si facevano vistose e le critiche più aspre, ha coniato l’euro, ha portato a sé gli Stati che erano sotto l’influenza dell’Unione sovietica, ha spinto i governi nazionali a tenere i conti un po’ in ordine, o almeno più in ordine di quanto molti di loro sarebbero disposti a fare, continuando a rimanere il mercato unico più grande al mondo pur con ventotto (ora ventisette) sistemi giuridici differenti.

Il secondo motivo per cui il debito per l’Ucraina è una buona notizia è che l’alternativa sarebbe stata peggio. Emettere debito non è mai una cosa positiva in sé, ma in questo caso, come già scrivevamo su questo giornale ieri, è una scelta migliore che disporre di beni di privati cittadini russi e della Banca centrale russa, in spregio ai più canonici principi di civiltà giuridica. Peraltro, il sostegno deliberato vale al momento 90 miliardi di euro, un nono del debito emesso per tutti i Pnrr, meno della metà del solo Pnrr italiano. Fare debito, lo si vuole ripetere, non è mai una buona notizia in sé, ma meglio farlo per sostenere obiettivi di sicurezza che per rifare i giardinetti e le facciate delle case.

Il terzo motivo è che dal programma di finanziamento, secondo quanto si legge nelle conclusioni del Consiglio europeo, restano esclusi Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. In sostanza, i governi, non trovando un accordo unanime, hanno preferito per una volta non forzare i Trattati ricorrendo a procedure eccezionali e utilizzare lo strumento di una cooperazione rafforzata, limitata a chi vuole starci.

Negli ultimi anni, le decisioni più importanti in Europa sono state segnate da una forzatura delle procedure e dei limiti alle sue competenze che non può, non deve diventare un metodo abituale di governo. Per intenderci, la procedura d’emergenza sta rischiando di diventare quello che per noi italiani è il ricorso alla decretazione d’urgenza. La via delle cooperazioni rafforzate o, se si vuole utilizzare un’espressione meno tecnica e più evocativa, degli accordi tra volenterosi, è la strada più realistica e corretta per fare cose difficili e salti in avanti, che non tutti i governi e le opinioni pubbliche a cui essi rispondono sono legittimamente disposti ad accettare.

Tra una scelta difficile (il debito), una purtroppo impossibile (un risparmio di spesa) e una sbagliata (l’uso degli asset russi), è quindi una buona notizia che l’Unione abbia preso la prima. Ma ora viene la parte più complicata. E non solo dal punto di vista operativo e attuativo.

In prospettiva, la sfida più ardua è decidere quale forma e quali limiti dare a uno strumento, il ricorso al debito, che da eccezionale sta diventando, come era prevedibile, abituale. L’Europa ha preso soldi in prestito dal mercato già negli anni Settanta. Ma è con il Next Generation Eu che sono state oltrepassate le colonne d’Ercole dell’indebitamento. E non solo per la mole di risorse prese in prestito, ma per averlo messo in comune. Lo ha fatto per motivi eccezionali, si voleva credere, forzando i trattati, i vincoli al bilancio, le procedure, le competenze. Lo ha poi fatto di nuovo per finanziare in parte il piano di difesa europeo. E ora per sostenere il bilancio dell’Ucraina. In politica, l’eccezionalità diventa spesso normalità. Se questo dovesse accadere anche per il debito europeo, sarà un problema di prim’ordine evitare che l’Unione si trasformi, persino lei, in quel Leviatano con cui Hobbes rappresentava gli Stati moderni. Ottanta anni fa, proprio per limitare gli spazi della politica statale rispetto a quelli della libertà individuale, alcuni governi europei, tra cui quello italiano, cominciavano il cammino dell’integrazione europea. Di strada se ne è fatta molta fino a far assomigliare sempre più l’Unione europea, in una sorta di eterogenesi dei fini, a una specie di super Stato che fatica a entrare nell’abito confezionato dai Trattati. La difficoltà, ora, è proprio questa: cucirgli addosso una nuova veste, prima di gridare che il re è nudo.

oggi, 22 Dicembre 2025, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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