Lorenzin contro Guidi, la battaglia della vendita dei farmaci

Per Ibl sarebbe ora di liberalizzare fil settore portando a compimento quanto intrapreso (e poi abortito) con le lenzuolate di Bersani

17 Febbraio 2015

Corriere.it

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Lei, come per ordine di cavalleria, in mattinata scaglia un sasso che sembra quasi un macigno. Senza nascondere la mano: «Le ipotesi sulla liberalizzazione delle farmacie avanzate dal ministero dello Sviluppo sono insostenibili». Lei è il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, consapevole che Federfarma, l’associazione di categoria dei farmacisti titolari di negozio, non è disposta a trattare sulle due indiscrezioni circolate in questi giorni contenute, si dice, nel testo che il ministero dello Sviluppo ha consegnato a Palazzo Chigi in previsione del consiglio dei ministri di venerdì. L’altra è Federica Guidi, ministro dello Sviluppo, un’altra delle donne forti del governo a guida renziana, legata a Confindustria per le sue radici industriali, eppure capace in questi mesi di tessere una tela convincente in molte delle partite più delicate approdate al dicastero che presiede: dall’Ilva agli Acciai Speciali di Terni, da Termini Imerese a Piombino.

Le liberalizzazioni
In mezzo c’è il documento improntato alla liberalizzazione della vendita del farmaco, come chiede, auspica, ha rilevato più volte anche l’Authority per la Concorrenza. Le due indiscrezioni rivoluzionerebbero il mercato del farmaco come mai è avvenuto finora: 1) la possibilità per le circa 5mila para-farmacie italiane di vendere anche i farmaci di fascia C con ricetta (ora possono vendere soltanto quelli da banco, senza prescrizione medica) 2) la possibilità che aprano circa 20mila nuove farmacie se nel testo del decreto dovesse essere abbassato il limite per abitante, che ora contingenta le farmacie una ogni 3mila abitanti (si parla della possibilità di un’apertura ogni 1.500). Entrambe le opzioni suscitano gli strali di Federfarma che spara ad alzo zero adducendo svariati motivi, come la fine presunta delle farmacie rurali nelle zone a basso insediamento abitativo e la crisi di un’intera categoria, quella dei farmacisti titolari di punto vendita, dipinta dai suoi detrattori come una casta inscalfibile.

Sostiene Serena Sileoni, vice direttore generale dell’istituto Bruno Leoni, che le obiezioni sollevate da Federfarma lasciano il tempo che trovano perché sarebbe ora di liberalizzare finalmente la vendita dei farmaci portando a compimento quanto intrapreso (e poi abortito) con le lenzuolate di Bersani e il pressing di Monti. 

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