Lo Stato, la vendita o il crac

Lo Stato non ha i 2 miliardi che gli azionisti di Alitalia erano pronti a investire nel rilancio. Ma anche se li tirasse fuori quei soldi non basterebbero

26 Aprile 2017

La Stampa

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Ma adesso che cosa succede ad Alitalia? Per quanto le parti coinvolte (governo, sindacati eccetera) possano spararla grossa, dare giudizi drastici e far sembrare scontate e addirittura già scritte le a loro rispettive ipotesi di futuro (fallimento con vendita a pezzi della compagnia, ri-nazionalizzazione o cessione a un altro gruppo come Lufthansa) nessuna delle opzioni sarà facile da realizzare.

L’ipotesi che l’Alitalia, in quanto ex compagnia di bandiera, torni sotto l’ala protettiva dello Stato, è stata esclusa con tutte le parole e in tutti i modi possibili e immaginabili dal governo. Ma sotto sotto i lavoratori che hanno votato «no» ai nuovi sacrifici sono convinti cha alla fine lo Stato interverrà, eccome, a salvare il salvabile coi soldi pubblici. È facile giurare e spergiurare che «non esiste un piano B», ma se poi 12.500 persone mobilitano i parlamentari per parlare in tv e perorare la causa del posto di lavoro, è possibile che alla fine il muro ceda, soprattutto in vista delle elezioni. Fra gli analisti, invece, quel muro tiene. Dice Andrea Giuricin (economista dell’Istituto Bruno Leoni): «Lo Stato non ha i 2 miliardi che gli azionisti di Alitalia erano pronti a investire nel rilancio. Ma anche se li tirasse fuori, spinto dalle pressioni politiche, quei soldi non basterebbero, al di fuori dell’alleanza con Etihad. Alitalia li brucerebbe rapidamente se dovesse competere da sola con i mega-gruppi che si sono formati attorno a Air France, Lufthansa e British Airways». Inoltre l’Ue non concederebbe mai la flessibilità di bilancio per quei due miliardi, perché «nonostante quello che si è sentito dire nei giorni scorsi» incalza Giuricin, «nessuno di questi grandi gruppi è a controllo pubblico».

Da La Stampa, 26 aprile 2017

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