L’Europa in crisi e l’enigma tedesco

L’Europa affronta crisi interne e tensioni politiche mentre Germania e Francia faticano a guidarne il futuro

9 Dicembre 2025

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

L’Europa sta conoscendo una fase particolare. Non soltanto il Vecchio Continente non è mai stato così ai margini della scena (altrove hanno luogo le innovazioni, altrove si giocano i destini dell’umanità), ma le sue stesse istituzioni sono in una crisi profonda.

A Bruxelles si deve fare i conti con un vero stallo istituzionale. La Commissione europea è ancora guidata da Ursula von der Leyen, ma la maggioranza “mainstream” (democristiani, socialisti e liberali) che anni fa l’aveva collocata al vertice dell’Unione è sempre meno salda.

Non a caso nelle scorse settimane un pilastro della retorica europea di questi anni — la transizione verde — ha subito una netta battuta d’arresto nel Parlamento continentale, dove i centristi del Ppe hanno votato assieme ai conservatori di Giorgia Meloni e ai sovranisti di Jordan Bardella, Victor Orban e Matteo Salvini.

Le scelte adottate al tempo della pandemia presentano il conto e altre bollette sono in arrivo, se si considera che gli impegni assunti con il Pnrr comporteranno conseguenze tremende per vari Paesi e, in particolare, per l’Italia.

Washington non perde occasione per manifestare tutta la sua perplessità verso un’Europa che l’amministrazione Trump giudica troppo socialista, prigioniera di minoranze ecologiste e di un welfare State costosissimo, che impedisce alle imprese europee di essere competitive a livello globale.

In più, il progetto di convertire in senso militare l’industria europea suscita perplessità, anche se nessuno è in grado di offrire una strategia ragionevole per sottrarre alla crisi economica le due economie al cuore del sistema produttivo europeo: Germania e Francia.

Per questi motivi la leadership attuale è sempre più fragile. In Francia i sondaggi danno il Rassemblement lepenista sopra il 30% e in Germania non molto più in basso si colloca l’Alternative für Deutschland.

È possibile che presto le forze di sinistra inizino a comprendere che un’immigrazione senza controllo crea gravi problemi sociali che si traducono in voti alla destra, ma forse sarà troppo tardi.

Vari osservatori sottolineano come l’Europa dovrebbe focalizzarsi sui fondamentali. È urgente che si inizi a liberalizzare il mercato del lavoro (magari adottando la lezione danese), che si riducano spesa pubblica e tassazione, che si costringa la Bce a difendere l’euro e ad abbandonare un progetto tanto pericoloso quanto inviso come l’eurodigitale.

Molto dipenderà da come si muoveranno i tedeschi, che si trovano in difficoltà e devono però rialzare il capo. Quella che era una grande realtà manifatturiera vede i suoi campioni in difficoltà: dalla Volkswagen alla Bosch, dalla Thyssen alla Mercedes. Le politiche in tema di guerra e aiuti a Kiev, la questione energetica, la transizione verde e la moltiplicazione di regole e vincoli hanno bloccato la locomotiva tedesca.

Se le cose stanno così, è forse la Cdu di Friedrich Merz che potrebbe imprimere una svolta. Al momento segnali significativi non se ne vedono, ma da un momento all’altro la situazione potrebbe cambiare in maniera significativa.

Se questo non avverrà, sarà l’Europa nel suo insieme a continuare a declinare verso l’irrilevanza.

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