La Lega perde perché accantona l'autonomia

Soltanto con il decentramento del potere possiamo affrontare il parassitismo organizzato dell'Italia di oggi

15 Giugno 2022

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Politiche pubbliche

Le elezioni delle scorse ore hanno dato numerosi responsi. Un dato politico riguarda in particolare la Lega, che dopo essere stata “reinventata” da Matteo Salvini (che quando la ereditò da Roberto Maroni era ai minimi termini…) è crollata di nuovo: perdendo molti voti a vantaggio di chi, come Fratelli d’Italia, ha tratto beneficio dal collocarsi all’opposizione e dall’assumere un profilo più critico di fronte a lockdown e obbligo vaccinale.

La disfatta della Lega, che conosce un ridimensionamento per certi aspetti analogo a quello dei Cinquestelle, ha luogo proprio nel momento in cui il tema dell’autogoverno dei territori e delle libertà locali è del tutto assente dal dibattito pubblico. In fondo ancora nel 2017, l’anno dei referendum di Lombardia e Veneto, la questione era tutto sommato viva, dato che i presidenti delle regioni settentrionali avevano molto investito su quella richiesta riformatrice. In seguito il governo gialloverde ha bellamente ignorato l’esito dei referendum e di quei temi ormai non parla proprio più nessuno. Eppure si tratta di una questione che è stata a lungo la ragion d’essere della Lega.

Anche se in maniera opportunista, ondivaga e di fatto inconcludente, per decenni il movimento inventato da Umberto Bossi aveva messo al centro della discussione esattamente le rivendicazioni dei territori. L’ascesa di Salvini, però, ha comportato una “nazionalizzazione” della Lega, che alla fine di questo percorso si ritrova debole al Sud e incapace di riaffermare i propri valori originari al Nord. Eppure mai come adesso sarebbe necessario attribuire capacità di autogoverno alle città e alle realtà locali.

Ci aspetta un autunno tremendo, dato che i prezzi stanno salendo e le aziende non possono accontentare alcuna richiesta di aumento salariale, dato che navigano in cattive acque. Dopo due anni di una gestione sciagurata della pandemia siamo alle prese con una crisi internazionale legata all’invasione russa dell’Ucraina, e tutto ciò contribuisce a devastare l’economia globale, erede di decenni di irragionevole espansione monetaria. Con lo spread sempre più alto e il debito pubblico fuori controllo, potremmo riprendere un cammino virtuoso se uscissimo dalla logica deresponsabilizzante di questo Stato romanocentrico, che spreme tutti per poi assegnare buoni di ogni tipo (come l’ultimo, da 200 euro, per ogni lavoratore dipendente e pensionato).

Mai come in questa fase avremmo la necessità di amministratori locali che tassino i loro cittadini rendendo conto di quanto fanno e competendo con gli amministratori della realtà vicine. Da tempo sappiamo che soltanto con la localizzazione del potere possiamo affrontare (e sconfiggere) il parassitismo organizzato che caratterizza l’Italia odierna a ogni livello: dalle imprese ai disoccupati, passando per ogni altra realtà sociale. Anche se è stata accantonata, la proposta di far rinascere le periferie deve allora essere rilanciata al più presto. Perché per salvare gli italiani ci vuole sempre meno Italia, e sempre più Lombardia e sempre più Campania, sempre più Milano e sempre più Napoli, e naturalmente più Veneto, Puglia, Toscana e via dicendo. Non esistono alternative.

da La Provincia, 15 giugno 2022

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