C’è stato un tempo in cui i ministri del tesoro americani, se ricevevano una telefonata dall’amministratore delegato di un’impresa in crisi, non rispondevano e facevano sapere alla stampa di non aver risposto. Magari l’amministratore delegato era un vecchio compagno di studi. Senz’altro il ministro sapeva dei suoi problemi e poteva anticipare le sue richieste. Il governo, nondimeno, doveva essere considerato un arbitro imparziale dell’economia.
In tutto questo c’era una buona dose di ipocrisia, ovviamente, e gli Usa, soprattutto all’estero, hanno sempre spalleggiato le proprie aziende. Quell’ipocrisia ora è totalmente scomparsa. il pensiero e gli obiettivi di Donald Trump nella partita che a noi europei è più cara, cioè quella sui dazi, non si comprendono se non si capisce che il Presidente vede se stesso come il capo supremo di un conglomerato di cui fanno parte tutte le imprese a stelle e strisce.
Da buon capo azienda vuole vendere e incrementare i profitti. Nei modi non necessariamente più usuali: non si capisce bene con quali modalità, ma Nvidia e AMD, due giganti dei microprocessori, hanno promesso alla Casa Bianca il 15% delle loro entrate derivanti dalle vendite a controparti cinesi. Gli analisti di geopolitica, le cui fantasie plasmano il dibattito pubblico, hanno parlato per anni di una sfida per la “supremazia tecnologica” fra Usa e Cina.
Pur di commerciare coi cinesi, Nvidia e AMD si sono dette pronte a bilanciare il presunto danno “strategico” con una sorta di donazione al governo. Et voilà, il deal è presto fatto. Prima, Trump aveva chiesto a gran voce la rimozione del CEO di Intel, un’impresa privata, che ora andrà a Canossa. Per evitare di trovarsi in una situazione simile, Tim Cook, capo della più famosa azienda di elettronica di consumo al mondo, si è recato alla Casa Bianca con ricchi doni, tipo re magi. La scena sembrava strappata alle cronache di qualche satrapia orientale.
Sarebbe sciocco però fare la morale all’uomo più potente del mondo. Bisogna accettare che Trump rifiuta la separazione fra politica ed economia, antico dogma del sistema americano, e cercare di prendergli le misure.
La mentalità del Presidente spiega anche il modo in cui si muove sulle faccende doganali. I dazi, nella sua testa, sono prezzi sui quali si può accettare uno sconto in cambio di qualcosa d’altro. E come al ristorante: a una tavolata di ghiottoni si abbuona volentieri l’amaro.
Comprendere ovviamente non significa giustificare. Comunque vada la partita dei dazi, Trump sta facendo seri danni all’economia, globale e americana. L’efficienza non può che esserne ridotta, sia perché si moltiplicano colli bottiglia e tasse (i dazi altro non sono), sia perché aumenta l’incertezza. Il Presidente incontra mezzo mondo, stringe mani, dispensa complimenti, annuncia accordi.
Ma questi ultimi andranno messi nero su bianco, mestiere che spetta a tecnici spesso sensibili alle pressioni degli interessi organizzati e in grado di influire su dettagli di importanza cruciale.
In generale, l’amministrazione Usa si sta mettendo nella posizione di dire ai privati quali fattori produttivi debbono utilizzare e perché. Solo che è improbabile che ne sappia di più di chi gestisce le aziende e sostituire decisioni economiche a scelte improntate a criteri extra-economici è una buona ricetta, appunto, per ridurre l’efficienza del sistema.
Non sappiamo quanto dureranno questi dazi. Limitiamoci a un esempio. Trump ha messo un dazio del 50% sulle importazioni di rame, per riavviare l’industria nazionale. Si calcola però che per mettere in funzione una miniera, in Usa, occorrano più di vent’anni. È facile dire “buy American”, Poi ci si accorge che non c’è prodotto “American” senza l’apporto di altri Paesi.
Ursula von der Leyen è stata molto criticata per il suo atteggiamento apparentemente remissivo verso gli Usa. Ma chi si lamenta che non ha “picchiato i pugni sul tavolo” dovrebbe spiegarci cosa c’era da guadagnare nel farlo. Questo è il momento di contenere i danni, come stanno facendo le imprese. La cosa più pericolosa che può fare la politica è inalberare il gran pavese del patriottismo economico, copiando Trump senza essere Trump.