C’è un capitolo nuovo nel dossier Unicredit che merita di essere conosciuto, motivazioni e strategie aziendali a parte. Nei giorni scorsi, la banca milanese ha sottoscritto una partecipazione tramite strumenti finanziari del 9,7% al capitale della banca greca Alpha Services and Holdings, di cui già deteneva il 9,6%. Complessivamente, dunque, la posizione di Unicredit nell’istituto ellenico sarà di circa il 20%, ma ha già annunciato di voler acquisire un ulteriore 10% entro l’anno. Si tratta di un’operazione di mercato che, di norma, interesserebbe solo gli addetti ai lavori e il settore bancario e finanziario. Ma poiché si inserisce in quadro più ampio, si può trarre qualche riflessione più generale.
Da settembre scorso, Unicredit ha condotto tre operazioni importanti: l’acquisizione di una quota del 28% della tedesca Commerzbank tra azioni e strumenti finanziari, l’offerta di scambio volontaria per Banco BPM e l’acquisto di strumenti di Alpha Services fino al 20%.
Delle tre operazioni, solo l’ultima è stata accolta con favore dalle istituzioni pubbliche e politiche greche.
Come sappiamo bene, sull’OPS per Banco BPM si è accesa una vicenda politica e, ora, anche giudiziaria tale da costringere il ministro Giorgetti a dichiarare unità di Governo o dimissioni.
In Germania, mentre la BCE e recentemente l’autorità antitrust hanno approvato l’acquisizione di Unicredit fino al 29,9% di Commerzbank, il governo ha manifestato fin dall’inizio una evidente resistenza, al punto da far rinviare la decisione sull’acquisizione all’anno venturo.
In Grecia, invece, le istituzioni hanno accolto con grande favore l’aumento di partecipazione di Alpha Services. Per il ministro dell’economia e delle finanze è una prova di fiducia tangibile della solidità e dell’attrattività dell’economia greca. Per il governatore della Banca centrale è la via che l’Unione europea dovrebbe seguire per una integrazione bancaria che affianchi gli sforzi per quell’unione dei capitali necessaria di cui tutti i governi parlano.
Solo pochi giorni fa, all’Assemblea annuale di Confindustria la Presidente Meloni ha ricordato l’importanza di portare a compimento l’unione dei mercati dei capitali in Europa. Una posizione sostenuta anche dal ministro dell’economia, in buona compagnia con gli altri governi degli Stati europei.
Le banche europee, si legge nel rapporto sulla competitività di Mario Draghi, “mancano di economia di scala rispetto alle loro controparti negli USA a causa dell’Unione bancaria incompleta”. L’Unione dei mercati dei capitali, però, non è solo una questione di autorità unica di vigilanza odi regole uguali per tutti. E anche, anzi prima, la creazione di un contesto che consenta alle banche di essere posizionate e strutturate anche in termini dimensionali in maniera tale da raccogliere capitale e saperlo investire per erogare prestiti, specie su progetti innovativi ma rischiosi.
Dalla triplice operazione di Unicredit si nota quindi che, se tutti i governi concordano a parole sulla necessità di una maggiore integrazione come condizione necessaria di crescita e forza comune, nei fatti l’unico governo che si è mostrato coerente con la teoria è quello greco.
Mentre le autorità politiche di Italia e Germania hanno storto il naso, il paese che più ha sofferto la crisi del debito sovrano ha mostrato un’accoglienza cristallina. E forse non è un caso.
Nel 2010, la Grecia è stata sull’orlo del default, da cui è uscita con il sostegno finanziario dell’Unione europea e del Fondo Monetario Internazionale e una profonda ristrutturazione della spesa e del debito. I governi greci hanno dovuto far accettare alla popolazione il risanamento delle finanze ma hanno colto la drammatica occasione per consentire all’economia greca di riprendersi. Si dirà che anche l’Italia, negli stessi anni, ha conosciuto il cosiddetto periodo di austerità e che la Germania da due anni ha una crescita negativa del Pil. Ma la Grecia è stata il paese che ha patito di più e più a lungo la crisi economica del 2008. La caduta cumulata del Pil greco dal 2008 al 2013 fu del 26,6%, a fronte di una riduzione cumulata dell’area euro dell’1,6%.
È significativo che lo Stato dell’Unione europea che ha subito la recessione più grave, registrato il più alto tasso di disoccupazione e affrontato il più pesante impatto sociale della crisi e delle necessarie misure di risanamento è anche quello che più facilmente comprende quanto l’attrazione dei capitali e l’integrazione dei mercati, anche di quelli finanziari, siano, al di là delle dichiarazioni, l’aiuto più concreto all’economia che i governi nazionali dovrebbero dare.