Le Province dovevano chiudere, ma costano comunque 4 miliardi

Secondo IBL, i risparmio per le casse dello Stato si aggira solo sui 140 milioni di euro all'anno

13 Ottobre 2014

Libero

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Domenica si chiude la nuova tornata elettorale. Al voto andranno 55 Province e i tre neo Consigli metropolitani di Torino, Napoli e Bari. Per le 55 Province, voteranno 48.286 elettori, ossia i sindaci e i consiglieri comunali dei 3.991 Comuni coinvolti, che saranno chiamati ad eleggere 652 consiglieri provinciali e, appunto, 55 presidenti di Provincia. Invece per eleggere i 60 Consiglieri metropolitani di Torino (18), Napoli (24) e Bari (18), andranno a votare 6.703 tra sindaci e consiglieri comunali dei 441 Comuni delle aree interessate. Alla fine in tutto, tenendo conto delle consultazioni andate in scena nei giorni scorsi due giorni fa si è votato nelle Province di Parma e Avellino saranno 64 Province e 8 Città metropolitane ad essere coinvolte nel voto.

Risparmi modesti
E dire che le Province dovevano essere cancellate. Come fece intendere un esultante Paolo Russo, il senatore pd relatore della legge numero 56 del 7 aprile scorso, passata alla storia come la norma ammazza poltrone: «Abbiamo definitivamente cancellato le Province anche dalla Costituzione».
In realtà, la situazione è ben più complessa. Perché la legge citata, nota anche con il nome di «legge Delrio», inteso come Graziano, il sottosegretario di Palazzo Chigi, non ha affatto abolito le Province. Ne ha solo cambiato la natura, cercando di svuotarle, in attesa che la riforma della Carta costituzionale, che vanta però appena una sola lettura al Senato rispetto alle quattro previste, diventi legge. Fino a quel giorno le Province, seppur con un diverso sistema di elezione dei propri presidenti e consigli provinciali, resteranno in vita. E costeranno. Quasi quattro miliardi di euro l’anno. L’abolizione delle Province può essere effettuata soltanto attraverso una revisione della Costituzione. Che, però, ha i suoi tempi. Così il governo, con la «legge Delrio», ha pensato bene, intanto, di modificare il meccanismo di elezione degli Enti con l’obiettivo di portare a casa qualche risparmio. Invece di essere elette dai cittadini, in pratica, le nuove giunte e assemblee saranno designate dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della Provincia. Da qui il declassamento a «Enti di area vasta di secondo livello». Con l’obbligo, per i nuovi amministratori, di esercitare la funzione a titolo gratuito.

Ed è qui l’inghippo. Al momento, infatti, il risparmio per le casse dello Stato si aggira solo sui 140 milioni di euro all’anno. A tanto ammonta, secondo l’istituto Bruno Leoni, il solo «costo politico» gli emolutamenti e idennità di presidenti, vicepresidenti, assessori e consiglieri delle Province (peraltro in aumento rispetto ai 115 milioni del 2004).11grosso della spesa, infatti, riguarda i costi per il funzionamento delle strutture e per gli stipendi del personale (47.862 dipendenti solo nelle quindici Regioni a statuto ordinario), che ammonta a quasi quattro miliardi di euro. Un esborso destinato a proseguire, visto che ad essere stato abolito è solo il diritto del corpo elettorale a partecipare allo scrutinio. Tutto il resto, inclusi i quattro settori di competenza provinciale (strade, scuole superiori, ambiente, formazione) per ora resta in piedi.

Agenda fitta

E che le Province siano tutt’altro che morte lo conferma lo stesso decreto attuativo alla «legge Delrio», emanato lo scorso 12 settembre, con due mesi di ritardo rispetto alla tabella di marcia originaria. A partire dalla prossima settimana e fino al 31 dicembre, infatti, i nuovi Enti saranno impegnati nella definizione dei rispettivi statuti.
Quanto al riordino delle funzioni non fondamentali di Province e Città metropolitane, la road map messa a punto da Palazzo Chigi affida un ruolo chiave all’«Osservatorio nazionale per l’attuazione della legge Delrio». Entro il 31 dicembre toccherà alle Regioni prendere il timone della riforma e procedere alla redistribuzione delle funzioni. Ma ad oggi l’insediamento dell’Osservatorio, a livello regionale, è stato deliberato solo in nove Regioni a statuto ordinario su quindici.

Da Libero, 11 ottobre 2014

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