Le arance quotidiane del legislatore improvvido

E il consumatore resta, come al solito, schiacciato da protezionismo e paternalismo

27 Ottobre 2014

IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

Nei giorni scorsi, la Camera ha approvato una misura che innalza dal 12% al 20% il contenuto minimo di frutta prescritto per bibite come le aranciate. Un’analoga previsione del decreto Balduzzi del 2012 era stata bocciata dalla Commissione Europea; ma le cattive idee sono spesso le più persistenti. 

La norma persegue una duplice ispirazione. In primo luogo, vi sarebbe un intento di tutela della salute dei consumatori. Tuttavia, non esiste alcuna evidenza del preteso beneficio derivante da una maggior quota di succo di frutta; è, anzi, plausibile che – per limitare l’impatto della riformulazione sul sapore della bevanda – tale incremento dovrà essere bilanciato da un più intenso utilizzo di zuccheri, l’altro spauracchio del legislatore in materia di soft drink.

Il secondo obiettivo del provvedimento è quello di sostenere la produzione agricola italiana, che subisce la pressione competitiva degli altri paesi mediterranei. Anche in questo caso, però, difficilmente i risultati si allineeranno alle intenzioni: se il vincolo influirà sulle scelte di approvvigionamento, sarà proprio per esasperare la convenienza dei produttori dal prezzo più competitivo, a fronte della maggior quantità acquistata. Inoltre, dal momento che, come ovvio, il requisito del contenuto minimo si applica unicamente ai produttori stabiliti in Italia, c’è da temere una spinta autolesionistica alla delocalizzazione, proprio a danno dei produttori agricoli, il cui bacino d’interesse si restringerà ulteriormente, e del sistema produttivo nel suo complesso.

L’interesse del consumatore ne esce mortificato due volte: dal motivo protezionistico, che restringerà l’offerta, e da quello paternalistico, che calpesterà la domanda. Il mercato già offre numerose e varie bevande del genere che il legislatore sembra approvare: si chiamano succhi di frutta; se il consumatore rivolge altrove la propria attenzione non è certo per mancanza di scelta, bensì perché, talora, egli desidera un prodotto differente per concezione e fruizione. L’intervento sul contenuto minimo di frutta, volto a proteggere i produttori e i consumatori nostrani, rischia di nuocere a questi e a quelli. Conseguenze inintenzionali: le arance quotidiane del legislatore improvvido.

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