19 Dicembre 2025
Il Tempo
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Politiche pubbliche
Le attuali discussioni sull’ipotesi di ridimensionare il valore del riscatto della laurea e ritardare la riscossione della pensione obbligano a fare i conti con una situazione difficile. L’intero sistema previdenziale sconta decenni di una gestione irresponsabile, che ha dato molto a chi aveva versato poco (si pensi alle baby-pensioni) e oggi finanzia i vitalizi con quanto viene preso a chi lavora.
La riformulazione del «modello Ponzi», però, non può reggere, tanto più che è ormai venuta al pettine la questione del calo demografico. La diminuzione del numero dei giovani non avrebbe avuto effetto sulle pensioni se avessimo risparmiato e accumulato quanto fu versato in passato, ma poiché le cose non sono andate così il futuro prospetta pochi lavoratori che devono mantenere molti pensionati.
Per ovviare al disastro, ogni governo – quale che sia il colore – è costretto a ritardare l’età pensionabile, oppure ad aumentare il prelievo contributivo, oppure a ridimensionare i vitalizi (o le tre cose assieme). In ogni società che abbia adottato tale schema fallimentare si procede fatalmente in questo modo.
Una soluzione ragionevole di lungo termine consisterebbe nell’orientarsi verso una previdenza pubblica di sole pensioni «sociali», e null’altro. Fermi restando i diritti di chi ha già versato somme significative e quindi ha acquisito titolo a una pensione consistente, bisognerebbe proporre ai giovani di entrare in un sistema a prelievo meno progressivo e che alla fine attribuisca un vitalizio assai basso: soltanto una pensione sociale.
Per il resto ognuno dovrà fare da sé, costruendo il proprio futuro post-lavorativo grazie ai risparmi e/o a un secondo pilastro assicurativo privato. A tal fine potrebbe essere magari opportuno introdurre incentivi fiscali che favoriscano questa scelta.
In tal modo ci s’avvicinerebbe al modello elvetico, dato che nonostante i redditi siano più alti la pensione statale (Avs) in Svizzera può arrivare al massimo a 2520 franchi, quali che siano i contributi versati.
Non sarà comunque facile cambiare, perché quando si entra in logiche tanto socialiste ogni processo riformatore non è agevole. Al tempo stesso anche uno statalista onesto capisce che se mai ha avuto un senso che la previdenza sia un affare di Stato, questo è da connettersi alle esigenze dei più poveri. Ma allora ci si limiti a ciò, garantendo a tutti un reddito minimo e lasciando poi che ognuno decida quello che vuole fare per mantenersi quando non potrà più lavorare.
Le generazioni a venire sono chiamate a sostenere un doppio onere del tutto illegittimo: quello del debito pubblico e quello del debito previdenziale. Se progressivamente le pensioni diventassero minime un simile iniquo trattamento potrebbe essere, quanto meno, un po’ ridimensionato.