Lo scontro politico sulla “tassa Airbnb” nella nuova legge di bilancio è marginale dal punto di vista finanziario, ma è centrale da quello culturale.
Il gettito atteso si aggira attorno ai 100 milioni di euro, una piccola frazione rispetto alla manovra (lo 0,5 per cento dei 19 miliardi su cui interviene la legge di bilancio) e una goccia nel mare del gettito tributario (lo 0,01 per cento dei 709 miliardi attesi, al netto dei contributi previdenziali e altre entrate). Il governo ha scelto una linea di prudenza, e per conseguire l’obiettivo dichiarato di un deficit, seppure di poco, inferiore al 3 per cento deve bilanciare entrate e spese. A noi piacerebbe vedere maggiore enfasi sul taglio delle spese, ma non si può che apprezzare lo sforzo del ministro Giorgetti di mantenere e anzi affrettare il percorso di risanamento: e questo richiede, inevitabilmente, scelte sgradevoli sul fronte delle tasse. Da qui la prima versione della norma, che alzava dal 21 al 26 per cento l’aliquota della cedolare secca per tutte le tipologie di affitti brevi. Ricordiamo, infatti, che il 21 per cento si applicava solo alle persone fisiche e a una singola unità immobiliare per contribuente. Scelta ovviamente discutibile, ma a suo modo coerente.
Dopo le comprensibili proteste da parte dei proprietari di casa, condivise da alcuni partiti della maggioranza, il governo ha corretto il tiro e ha previsto l’applicazione dell’imposta solo ai contratti di locazione breve intermediati da piattaforme online, come Airbnb e Booking. All’atto pratico, non cambia quasi nulla: per ovvie ragioni, la larghissima maggioranza di questi contratti viene conclusa proprio attraverso piattaforme che facilitano la ricerca e il confronto delle offerte; della quota residuale dei contratti ancora stipulati “brevi manu”, realisticamente non pochi scompaiono agli occhi del fisco. Dalla prospettiva del ministero dell’Economia, questo dovrebbe essere un argomento decisivo, anche perché le piattaforme agiscono da sostituto d’imposta e, quindi, garantiscono il gettito. Eppure, più dell’interesse ha contato il tic luddista: questa norma avrà pochi effetti sul bilancio dello Stato, pochissimi sul comportamento di proprietari e turisti, ma dice molto sull’atteggiamento del governo verso l’innovazione.
Se il governo avesse un reale obiettivo di gettito, agirebbe su altre leve. Invece qui si dà chiaramente un segnale: il fatto che le persone cerchino di migliorare la propria condizione – cioè l’utilizzo dei loro beni o l’organizzazione dei propri viaggi – sfruttando i mezzi che il progresso tecnologico mette a disposizione va sanzionato e limitato.
Purtroppo, il governo deve fare pace con una semplice realtà: un paese può crescere oppure può proteggere le antiche pratiche, impedendo l’utilizzo delle nuove, ma non può mai fare entrambe le cose allo stesso tempo.