La rete ha già iniziato a uccidere la democrazia

Non solo Casaleggio, gli altri esperimenti per superare i Parlamenti nazionali

30 Luglio 2018

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Il modello di ordine parlamentare sovrano emerso negli ultimi secoli in Europa occidentale non rappresenta la «fine della storia». Già ora, d’altra parte, stanno avendo luogo numerosi cambiamenti legati alla Rete e, più specificamente, alla tecnologia.

La recente polemica in merito al futuro della democrazia suscitata dalle parole di Davide Casaleggio e dalla proposta di Beppe Grillo di scegliere una delle due Camere tramite sorteggio (a cui Sabino Cassese ieri ha risposto chiedendogli ironicamente se sia disposto a scegliere nello stesso modo anche l’idraulico o il suo chirurgo) ha avuto un merito. Benché non siano chiari gli obiettivi del leader del movimento Cinquestelle (che usa forme di «partecipazione telematica» per mascherare un potere ultra-centralizzato), è pur vero che il modello di ordine parlamentare sovrano emerso negli ultimi secoli in Europa occidentale non rappresenta la «fine della storia». Già ora, d’altra parte, stanno avendo luogo numerosi cambiamenti legati alla Rete e, più specificamente, alla tecnologia blockchain. Questi progetti riformatori spesso non mirano a realizzare un’alternativa agli Stati, ma più modestamente a riformulare le istituzioni grazie alla telematica.

L’idea di fondo è che la rete renda possibile una democrazia diretta immediata e che la blockchain, con i suoi «smart contract», possa sottrarre l’implementazione delle decisioni politiche dall’arbitrio dei singoli. Non sorprende la centralità della blockchain in tali visioni concernenti il futuro, dato che è la geniale innovazione di Satoshi Nakamoto a permettere la certificazione di ogni opzione individuale: evitando imbrogli e manipolazioni. Nata per sorreggere una moneta come il «bitcoin», oggi la blockchain può innescare una rivoluzione sociale che, partendo dalla valuta, riconduca nelle mani degli individui altri aspetti cruciali della vita associata.

In Australia, dunque, un progetto come Flux si propone di innovare la politica grazie a una partecipazione costante. I disegni di legge andrebbero caricati online e sarebbero però esaminate soltanto le proposte che riscuotono interesse: attraverso un sistema non molto diverso dai «mi piace» di Facebook. Solo a quel punto si chiederebbe a ognuno di esprimere il suo voto. Ben più originale, per vari aspetti, è invece la logica di Democracy.earth. In qualche modo gli autori di tale proposta cercano di realizzare una democrazia diretta che tenga in adeguata considerazione le difficoltà di un mondo complesso: che spesso obbliga a decidere su questioni specifiche, su cui è difficile avere un’opinione precisa.

Pochi cittadini si sentono in grado di dire la loro sulla necessità di prolungare il «quantitative easing» o hanno le idee perfettamente chiare sulle innovazioni tecnologiche in agricoltura. Per evitare allora il doppio fallimento del populismo plebiscitario oppure della tecnocrazia elitaria degli esperti, questo progetto prevede che ognuno possa delegare il proprio voto a un altro cittadino di sua fiducia. L’idea è che, per chiunque tra noi, sia più agevole individuare qualcuno di cui ci si fida, invece che saper discernere in merito a ogni questione particolare: spesso molto tecnica.

Ben più radicale è il progetto delle cosiddette Dao (Organizzazioni autonome decentralizzate). In questo caso, infatti, non si tratta di riformare tramite la partecipazione i nostri Stati sovrani, ma invece di creare associazioni che siano al tempo stesso «ordini politici»: istituzioni a cui si può liberamente aderire e da cui si può in ogni momento uscire. Cosa avviene quando si aderisce a una Dao? In sostanza, si sottoscrivono contratti la cui funzionalità non dipende da decisioni umane, ma da specifici software. Quando abbiamo a che fare con leggi, abbiamo bisogno di soggetti che le applichino e altri che le interpretino. Qui invece è l’automatismo impersonale del sistema a operare, senza alcuna possibilità di un uso arbitrario del potere. In tal modo si aderisce volontariamente a un’iniziativa condivisa, la si può in ogni momento abbandonare e tutto è retto da automatismi che non lasciano spazio all’arbitrio. Ogni cosa è inoltre trasparente, dal momento che viene registrata in un pubblico registro condiviso.

L’idea di fondo è che la Rete possa connettere tra loro quanti condividono i medesimi obiettivi e valori, creando nazioni spontanee e deterritorializzate. In tal modo potrebbero sorgere talune Dao per le politiche culturali, altre per la sanità e l’educazione, e ognuno aderirebbe alle Dao che più corrispondono ai suoi principi. In qualche modo siamo di fronte al tentativo di realizzare, per via telematica, il sogno libertario di comunità volontarie che prescindano da ogni sovranità, coercizione, dominio dell’uomo sull’uomo.

La prima e più nota di queste realtà è oggi Bitnation, sorta nel 2014 sfruttando la tecnologia di Ethereum. L’obiettivo di tale progetto è iniziare a «liberare l’umanità dall’oppressione e dalle sanzioni di una sovranità imposta, dell’apartheid geografico, della xenofobia e della violenza di cui si nutre l’oligopolio dello Stato nazionale». Attualmente Bitnation ha 15mila «cittadini», ma va detto che per ora la partecipazione a questa libera comunità telematica non è in grado di affrancare i pionieri della nuova politica dalle pretese degli Stati. La sfida è lanciata, ma non sarà facile ottenere una piena liberazione dagli eredi parlamentari delle monarchie secentesche: siano essi parte del vecchio establishment o dei nuovi momenti populisti.

Da Il Giornale, 30 luglio 2018

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