La necessità di un nuovo ordine mondiale

A 80 anni dalla sua firma, la Carta delle Nazioni Unite necessita di essere rivista per superare le problematicità di oggi

26 Giugno 2025

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nella primavera del ’45, poco prima della resa della Germania e mentre le navi da guerra solcavano ancora il Pacifico, gli Alleati convocarono a San Francisco tutti gli Stati che avevano dichiarato guerra a Germania e Giappone entro il primo marzo di quell’anno.

All’ordine del giorno della Conferenza c’era la creazione di una organizzazione internazionale che facesse da guardiano della sicurezza collettiva e dell’ordine mondiale. L’inutilità delle Lega delle Nazioni era un motivo in più, almeno agli occhi del presidente Roosevelt, per tentare una nuova organizzazione più solida e efficace nell’arrivare dove la Lega non era arrivata.

Roosevelt morì appena prima dell’avvio dei lavori della Conferenza di San Francisco. Spettò a Truman fare gli onori di casa. Un suo inciso nel discorso di chiusura della Conferenza, il 26 giugno 1945, racchiude tutta la grandezza e la debolezza del progetto delle Nazioni Unite: «Se avessimo avuto questa Carta qualche anno fa e soprattutto la volontà di usarla, milioni di persone ora morte sarebbero vive».

La Carta delle Nazioni Unite, della cui firma ricorrono oggi gli 80 anni, fu un mix di retorica e politica al massimo livello. La prima servì a confezionare una straordinaria poetica dei diritti, della pace, della dignità universali e a modificare il concetto e la natura stessi del diritto internazionale. La seconda servì a continuare a garantire il primato della volontà politica degli Stati sul diritto internazionale, i loro interessi sull’ordine mondiale, i loro equilibri di forza, definiti dalla distinzione tra vinti e vincitori, grandi e piccole potenze, rispetto a una condizione di parità.

Le premesse alla Conferenza di San Francisco parlavano chiaro. A Dumbarton Oaks, in quella che divenne una riunione preparatoria di San Francisco, avevano partecipato solo Regno Unito, Cina, Usa e Urss. I Paesi “minori” provarono fin da subito a criticare l’ordine del giorno della Conferenza, che riguardava solo, come disse Charles Malik, il rappresentante libanese, «pure e semplici strutture formali».

Il potere di veto è la punta dell’iceberg di un sistema fragile, che sarebbe stato forte solo se non si fossero avverate le condizioni critiche a cui avrebbe dovuto far fronte, ovvero conflitti e contrasti che avrebbero diviso le grandi potenze, così diverse tra loro. Il funzionamento delle Nazioni Unite, in sostanza, poteva garantire solo una incerta sicurezza. E per molti anni così è stato. A salva guardare un qualche ordine, appunto, non è stata l’Onu né la sua Carta, ma la volontà degli Stati, in particolare dell’America, di esserne garante.

Negli ultimi anni e mesi, la Carta è ingiallita con velocità esponenziale. Compie 80 anni, ma ne dimostra molti di più. Dalla sua vetustà si ricavano, però, due lezioni utili oggi più di ieri.

La prima: abbiamo imparato a conoscere il linguaggio rudimentale di Trump. Le parole, la postura oltre che la lunaticità del capo degli Stati Uniti hanno in pochi mesi reso chiaro quanto sia rischioso affidarsi alla sua guida. Eppure, mentre l’incontro di Ginevra tra i principali leader europei e Araghchi è stato inutile, è spettato a Trump conseguire e annunciare la tregua tra Iran e Israele. Senza la guida degli Usa continuiamo a sentirci, anzi a essere, insicuri e incapaci di assumere determinazioni, se non risolutive, quantomeno capaci di incidere nei rapporti internazionali. L’Unione europea non è uno Stato né una comunità di popolo. La conclamata crisi dell’ordine successivo alla seconda guerra mondiale dovrebbe farci però rispolverare le convinzioni di Churchill, che, scettico verso le Nazioni Unite, riteneva invece possibile che la “famiglia europea” potesse agire unita sotto l’egida del Consiglio d’Europa, con il Regno Unito in qualità – si potrebbe dire – di osservatore e alleato.

La seconda lezione è che le dichiarazioni e le carte, in politica, contano, ma fino a un certo punto. La retorica e il diritto, dove spesso essa si manifesta, sono strumenti in mano a chi governa. Quell’inciso di Truman sulla «volontà di usarla», più che profezia, è la onesta consapevolezza su quanto siano le persone a fare la differenza. La Carta delle Nazioni Unite voleva promettere, a parole, qualcosa di diverso dal passato. Un diritto internazionale nuovo, basato sull’impegno comune per la pace e le relazioni amichevoli, non sulla forza e la potenza. Ma già in quelle parole, nel modo in cui esse organizzavano quel presunto ordine, c’era l’inevitabile tradimento dei suoi presupposti, se fosse mancata, appunto, la volontà di usarle. L’ipotetica di Truman, così come l’auspicio di Churchill, dovrebbero aiutarci a capire la fragilità dell’ordine che è stato e il valore di quello che potrà essere, almeno in Europa e col Regno Unito accanto.

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