La lezione di De Viti e l'aliquota "degressiva"

Il dibattito sulla flat tax

3 Luglio 2017

Il Sole 24 Ore

Eugenio Somaini

Argomenti / Teoria e scienze sociali

La proposta di flat tax (imposta unica ad aliquota fissa) che Nicola Rossi ha elaborato con l’Istituto Bruno Leoni si colloca nel solco di quella che va sotto il nome di Scuola italiana di scienza delle Finanze.

E in particolare della versione democratico-liberale della stessa espressa da de Viti de Marco nei “Principi di economia finanziaria”.

Il tratto distintivo dell’approccio di de Viti sta nel guardare allo stato come ad un agente produttivo, che impiega risorse di cui acquista il controllo finanziandosi attraverso la tassazione per produrre beni e servizi destinati al pubblico, e più precisamente beni pubblici essenziali (una categoria di cui de Viti aveva una chiara nozione già prima che Samuelson introducesse il termine), di cui tutti (direttamente o indirettamente) godono, esempi classici dei quali sono la sicurezza, la difesa, la garanzia della libera circolazione delle persone e delle informazioni.

La generale fruizione di questi beni non può essere assicurata dal mercato attraverso il pagamento di un prezzo precisamente per il loro carattere collettivo, e cioè il loro essere liberamente accessibili da parte di tutti e il fatto che la fruizione da parte di chiunque non impedisce né limita la fruizione da parte di chiunque altro (condizione che Samuelson chiama «non-rivalità nell’uso»).

De Viti ritiene che un’approssimazione ad una distribuzione equa del costo di tali beni possa partire dall’ipotesi che per ciascuno l’uso sia sostanzialmente proporzionale al livello del reddito individuale (ipotesi plausibile, in quanto lo svolgimento di attività produttive presuppone un’adeguata presenza di quei beni) e tradursi nella copertura del costo con un’imposta proporzionale (flat tax) che ha effetti distorsivi assai limitati, in quanto lascia invariati i prezzi relativi dei beni e dei fattori.

De Viti ritiene anche che tale tipo di tassazione possa estendersi anche alla copertura di forme di spesa riguardanti servizi destinati a tutti, ma di particolare interesse per le fasce più deboli, che non sono “beni pubblici” in senso stretto ma rispondono ad una nozione solidaristica e condivisa di interesse pubblico.

Nella proposta dell’Istituto Bruno Leoni tali servizi dovrebbero comprendere la garanzia di un reddito minimo a coloro che non sono riusciti ad ottenerlo autonomamente, a condizione che cerchino di procurarselo non dallo Stato, ma con il concorso dello Stato attraverso politiche attive del lavoro. La presenza di tali servizi avrebbe il duplice pregio di introdurre un elemento di progressività nel sistema fiscale, secondo quanto stabilito dall’articolo 53 della Costituzione, e di rispondere a principi solidaristici condivisi e tali da realizzare un consenso anziché divergenze e reciproca ostilità.

De Viti designa con il termine “degressivo” questo tipo di progressività, realizzato per così dire per sottrazione e che prevede per le fasce di reddito più basse un tasso di prelievo assai limitato (al limite anche nullo o negativo) che sale gradualmente fino al raggiungimento di una soglia, oltre la quale diventa costante, instaurando quindi un regime flat ed avvicinandosi asintoticamente ad un’aliquota media pari a quella della formula flat.

La progressività del sistema non si limiterebbe ovviamente al versante del prelievo, ma troverebbe espressione anche, e soprattutto, su quello della spesa, grazie al fatto che le fasce di reddito più basse fruirebbero, in alcuni casi gratuitamente e in altri pagando un prezzo inferiore (dato il minore valore assoluto dell’imposta da cui sono gravate), di servizi analoghi a quelli di cui fruiscono quelle più alte.

Da Il Sole 24 Ore, 2 Luglio 2017

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