La legge italiana sull’AI è fatta di regole inutili

La nuova legge italiana sull’AI: troppe regole sovrapposte, inutili e persino potenzialmente dannose che non aiutano lo sviluppo

22 Settembre 2025

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

Ciò che si muove, tassalo. Ciò che continua a muoversi, regolamentalo. La famosa battuta di Reagan su quale è la visione del governo sull’economia torna utile ora che il parlamento ha approvato la legge sull’intelligenza artificiale. Proposta dalla presidente Meloni e dal ministro Nordio, la legge prende di mira i sistemi di intelligenza artificiale dopo che il governo, nella scorsa legge di bilancio, aveva esteso l’applicabilità dell’imposta sui servizi digitali. Il provvedimento rispecchia due riflessi condizionati. Il primo è considerare l’AI qualcosa che usiamo grazie all’inventiva da altri. Difficile d’altro canto cambiare prospettiva, dato il divario enorme nello sviluppo dei relativi sistemi rispetto a Stati Uniti e Cina. Il secondo riflesso è che, in questo nostro esserne solo consumatori, la guardiamo con sospetto e timore. Come ha detto Giovanni Guzzetta qualche giorno fa al Senato nel presentare l’Osservatorio sul diritto all’innovazione della Fondazione Luigi Einaudi, dovremmo cominciare a guardare l’AI come una fonte di espansione, e non solo di minaccia, dei nostri diritti. Nata con questi due tic, la legge prescrive tre insiemi di regole.

Un primo è composto da quelle inutili perché scontate. Si tratta del gruppo più numeroso, anche perché un anno fa è entrato in vigore un regolamento europeo sull’intelligenza artificiale rispetto al quale l’iniziativa del governo è sovrapponibile. Al di là delle questioni che il regolamento affronta, ci sono poi le questioni che possono comunque essere risolte con le regole già esistenti. Per fare qualche esempio, serve una nuova legge per dire che l’accesso delle persone con disabilità deve avvenire su base di uguaglianza e non discriminazione? O che l’AI deve essere usata nel rispetto dei diritti? Tra le norme di settore, serve una nuova legge per dire che l’uso dell’AI deve essere conforme al corretto trattamento dei dati personali? Che in ambito sanitario deve svolgersi per scopi di prevenzione, diagnosi, cura e scelta terapeutica? Che la pubblica amministrazione può usarla per incrementare la propria efficienza?

Un secondo insieme è costituito da regole inutili in quanto di dubbia efficacia: dal divieto di uso da parte dei minori di 14 anni senza consenso dei genitori, agli obblighi di informativa ai clienti. Fanno parte di questo gruppo anche quelle dichiarazioni vuote che impegnano lo Stato a favorire lo sviluppo di sistemi di AI secondo una visione, come si legge più volte, antropocentrica.

C’è infine un terzo insieme che è quello di norme inutili ma potenzialmente dannose, perché ad esempio assegnano allo Stato il compito di promuovere l’uso dell’intelligenza artificiale per migliorare la produttività e la competitività dell’economia italiana, o di favorire un mercato dell’AI innovativo, aperto e concorrenziale. Si tratta di disposizioni che, di per sé, possono anche cadere nel nulla, ma se prese sul serio potrebbero dare al governo l’ebbrezza di inventarsi una nuova politica industriale. Fa parte di questo insieme anche una previsione scivolosa, secondo cui l’uso di sistemi di intelligenza artificiale non deve pregiudicare lo svolgimento democratico della vita istituzionale e politica e la libertà del dibattito democratico. È un obiettivo indubbiamente lodevole ma delicato, perché implicherebbe una scelta di valore su cosa è pericoloso per il dibattito democratico. A occuparsi di tutte queste norme stanno svariati soggetti con i loro svariati strumenti: linee guida, decreti ministeriali, decreti legislativi, strategie nazionali in carico a ministri, comitati di coordinamento, comitati interministeriali, agenzie, autorità indipendenti che vengono a vario titolo investiti di nuovi compiti e competenze. Della gran parte di questa smania regolatoria si poteva fare a meno, ma peggio della burocrazia delle norme inutili c’è la complicazione delle norme penali: la legge introduce un nuovo reato e diverse circostanze aggravanti per condotte commesse mediante sistemi di intelligenza artificiale.

Il sottosegretario Butti ha sottolineato come l’Italia, con questa legge, sia il primo Paese ad avere un quadro nazionale pienamente allineato a quello europeo. A suo dire, ciò dovrebbe invogliare le imprese a investire in Italia. Alla faccia della semplificazione e della sburocratizzazione. Un anno fa, quando l’Unione europea approvò il regolamento sull’intelligenza artificiale, l’allora commissario alla concorrenza Thierry Breton si vantò di avere la prima disciplina in materia al mondo. C’era poco da festeggiare: l’Europa avrà pure il primato delle regole sull’AI, ma, come la stessa Commissione ammette da anni, è al palo per quanto riguarda il suo sviluppo. Se la mano destra non sa bene quello che fa la sinistra, ci ha pensato il presidente Draghi a metterle una di fronte l’altra, suggerendo pochi giorni fa alla Commissione europea una sospensione della parte più vincolante del regolamento sull’AI. Ci vorrebbe una proposta simile anche per questa legge.

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