La flat tax senza fake news

L'ostacolo più grande alla riforma è politico e si chiama: proporzionale

24 Agosto 2017

Il Foglio

Argomenti / Teoria e scienze sociali

L’Istituto Bruno Leoni (IBL) ha prodotto una proposta di riforma complessiva del sistema di tassazione e spesa sociale. La proposta, contenuta nel volume “Venticinque% per tutti (IBL libri), a cura di Nicola Rossi, è stata sbrigativamente etichettata come flat tax. In realtà è qualcosa di più complicato: come minimo, va menzionato che include un sussidio universale per i più poveri (chiamato “minimo vitale”) e un contributo sanitario addizionale gestito dalle regioni per i redditi più alti. Proposte di flat tax non sono nuove nel panorama politico italiano, segnatamente da parte di alcuni partiti di destra. Finora si è trattato tipicamente di cialtronate, promesse di luna nel pozzo senza alcun riguardo agli equilibri di bilancio. La proposta IBL è invece una proposta seria, che cerca di fornire numeri realistici e coperture. Resta però, a mio avviso, una proposta con gravi problemi, che cercherò di discutere. La proposta IBL è solida. Ha vari problemi, ma a differenza di altre non confida in forze magiche per raggiungere il pareggio di bilancio Il resto di questo articolo è diviso in tre parti. Nella prima illustrerò in modo schematico la proposta. Nella seconda discuterò i suoi potenziali effetti economici. Infine, nella terza, valuterò le sue chances di influenzare la legislazione futura in materia fiscale.

La struttura della proposta
Si dice spesso che una figura vale più di mille parole. Credo quindi che per riassumere la proposta di riforma fiscale dell’Istituto Bruno Leoni il modo più efficace sia quello di riprodurre la figura, tratta dal volume, che rappresenta le aliquote marginali dell’imposta sul reddito per un lavoratore dipendente singolo. La linea più scura rappresenta le aliquote marginali attuali, mentre la curva più chiara rappresenta le aliquote della proposta IBL. Anzitutto, vale la pena di notare l’assurdità della struttura attuale. Il picco con aliquota superiore a 80 per cento per i redditi tra 24 mila e 26 mila euro non è uno sbaglio, le cose stanno veramente così. E’ la conseguenza del delirante “bonus 80 euro”, un provvedimento che sembra essere stato strutturato per dimostrare quanto male possa essere fatta una riduzione delle imposte dirette. La necessità di una riforma, fosse solo per rimediare all’attuale profilo allucinogeno e allucinato delle aliquote, appare quindi chiara. Non è solo una questione di tassare meno, obiettivo auspicabile ma che deve necessariamente fare i conti con i vincoli di bilancio, ma di tassare meglio.

Guardiamo ora alla strutture delle aliquote marginali contenuta nella proposta IBL. Come appare chiaro dalla figura a fianco, possiamo individuare 3 intervalli di reddito con differente trattamento: a) Nel primo intervallo, tra O e circa 6 mila euro, l’aliquota marginale è del 100 per cento, ossia ogni euro guadagnato deve essere dato al fisco. La proposta prevede infatti una forma di sussidio universale, un ‘minimo vitale’ che viene corrisposto La necessità di una riforma, fosse anche solo per rimediare all’attuale profilo allucinogeno e allucinato delle aliquote, appare chiara a tutti. L’ammontare esatto dovrebbe dipendere dall’area di residenza, ma più o meno si parla di 500 euro al mese. Chi guadagna meno di 500 euro al mese, in media durante l’anno, deve dare tutto quello che guadagna al fisco in cambio del sussidio. b) Il secondo intervallo è quello in cui si applica effettivamente l’aliquota marginale del 25 per cento. Si tratta di lavoratori che guadagnano più della soglia di esenzione (circa 7 mila euro per chi vive solo) e che sull’ammontare di reddito che eccede tale soglia pagano appunto un quarto. c) Il terzo intervallo è quello di cui si è parlato meno. L’IBL propone che, a partire da un certo reddito, (intorno ai 35 mila euro lordi annuali per un singolo) le deduzioni di base e per produzione del reddito vengano ridotte con l’ammontare del reddito, in modo simile a quanto succede ora per le detrazioni da lavoro. Man mano che il reddito aumenta questi fattori diventano sempre meno rilevanti e l’aliquota marginale converge nuovamente al 25 per cento.

Questa è in sintesi la proposta per quanto riguarda l’Irpef. Si aggiungono poi altri importanti elementi su altre tasse e spese che possiamo sintetizzare come segue. a) Ai “cittadini più abbienti” viene richiesto un contributo di qualche migliaio di euro per l’assistenza sanitaria. Viene data l’opzione di rifiutare il servizio pubblico ma in tal caso è obbligatorio acquistare un’assicurazione sanitaria equivalente. Il gettito di questo contributo dovrebbe essere di 18 miliardi. b) Aumento delle aliquote Iva al 25 per cento, tale da generare un aumento di gettito di 19 miliardi e aumento dell’Ires al 25 per cento, per un gettito addizionale di 1,2 miliardi. c) Abolizione delle addizionali comunali e regionali Irpef per una perdita di gettito di 15,7 miliardi (ma la proposta è possibilista sul lasciare tali tasse per un periodo transitorio). d) Abolizione di Imu, Tasi e Irap, per una perdita di gettito di 41,4 miliardi. Tale perdita verrebbe molto parzialmente compensata dall’introduzione di una tassa sui servizi comunali per un gettito di 4,5 miliardi. e) Abolizione di varie spese sociali (prestazioni agli invalidi civili, pensione e assegno sociale e altre) che verrebbero sostituite dal “minimo vitale”.

Gli estensori della proposta hanno calcolato che, qualora posta in atto nella sua interezza, la riforma genererebbe minori entrate per 95,4 miliardi e minori spese per 64,2 miliardi. Si aprirebbe quindi un buco di bilancio di 31,2 miliardi, circa il 2 per cento del pil. Per evitare tale buco gli estensori suggeriscono quindi tagli di spesa pubblica di pari ammontare. Questa è, per grandi cenni, la proposta IBL. Nel resto di questo pezzo cercheremo di entrare maggiormente nel dettaglio, provando a rispondere a due domande. Primo, assumendo che la proposta possa essere attuata nella sua interezza, quali effetti economici avrebbe? Secondo, sotto ipotesi realistiche sulla composizione del prossimo Parlamento, quali parti della proposta possono essere attuate?

Gli effetti economici

Come ben documentato nel volume IBL la pressione fiscale in Italia è decisamente alta. Si può ragionevolmente supporre che l’elevata tassazione contribuisca alla ridotta dinamica della produttività, che da lungo tempo è il principale problema del paese, e alla ridotta partecipazione alla forza lavoro. Ben vengano quindi proposte di abbassamento della pressione fiscale. Ma il modo in cui si interviene è importante. Basta vedere gli enormi pasticci combinati con il “bonus 80 euro” per rendersi conto che abbassare le tasse non è sufficiente. Bisogna anche chiedersi come abbassarle. Da questo punto di vista la proposta presenta parecchi punti critici. Per ragioni di spazio ne discuteremo con una certa estensione solo due, e faremo un breve cenno ad altri due.

Trappole della povertà. Si ha una trappola della povertà quanto la struttura di tasse e sussidi costituisce un forte disincentivo a superare certe soglie di reddito. Un esempio è l’attuale struttura del bonus 80 euro. Chi guadagna 24 mila euro annuali e decidesse di fare qualche ora di straordinario si vedrebbe brutalmente decurtato il bonus (l’aliquota marginale implicita è pari a più dell’80 per cento). E’ ovvio che in simili condizioni la voglia di fare straordinari passa. La proposta IBL introduce una grossa trappola della povertà per chi guadagna redditi molto bassi. Il “minimo vitale” di circa 500 euro al mese (l’ammontare esatto è differenziato tra nord, centro e sud) viene decurtato di pari ammontare per ogni euro guadagnato, ossia l’aliquota implicita è del 100 per cento. Chiaro che a nessuno verrà in mente di fare alcun lavoro pagato meno di 500 euro al mese. Ma anche un lavoro, magari part-time, che paga 600 euro al mese diventa immediatamente molto poco attraente. Infatti la scelta sarà tra lavorare per 600 euro e non lavorare per 500. Se pagate anche solo 5 euro al giorno di trasporto e spese extra per mangiar fuori, a lavorare si perdono soldi. Ci possiamo quindi attendere una riduzione della partecipazione alla forza lavoro, soprattutto per gli strati più marginali che guadagnano stipendi bassi.

La proposta IBL cerca di alleviare questo problema rendendo il sussidio temporaneo e trasformandolo, anziché in un pagamento in euro, in un voucher contributivo. Nel volume si afferma che si potrebbe fissare “un limite temporale alla integrazione al minimo vitale (ad esempio, tre anni), garantire la integrazione stessa per il primo anno e, nel secondo anno, corrispondere l’integrazione per il 50 per cento come per gli anni precedenti … e per il 50 per cento sotto forma di un voucher contributivo e cioè di un buono personale e non cedibile che accompagni i componenti del nucleo familiare nella loro ricerca di un lavoro”. E’ una formulazione molto più sensata dal punto di vista economico ma ovviamente significa che il “minimo vitale” non è affatto tale. Inoltre, sarà necessario distinguere il minimo vitale temporaneo per chi è in grado di lavorare con il minimo vitale erogato invece a persone con disabilità etc., che presumibilmente sarà invece permanente.

Vi è, potenzialmente, una seconda trappola connessa al contributo sanitario. Secondo la proposta, oltre questa soglia viene “attribuita alle Regioni che sarebbero titolari in via esclusiva del relativo gettito-la facoltà di introdurre un contributo sanitario di ammontare pari al controvalore di una assicurazione sanitaria con copertura comparabile a quella oggi fornita dal Servizio sanitario nazionale”. Viene data ai contribuenti la possibilità di rifiutare il pagamento del contributo, ma in tal caso essi verrebbero obbligati ad acquistare un’assicurazione sanitaria privata. Qualunque sia l’opzione scelta, si tratta comunque di un onere aggiuntivo che quantifica intorno ai 6-7 mila euro annuali. Dato che il contributo sanitario andrebbe gestito dalle regioni non è chiaro che struttura avrà, ma nella proposta IBL esso dovrebbe essere a carico solo dei “cittadini più abbienti”. E’ quindi probabile che le regioni finiranno per avere una qualche soglia di reddito a partire dalla quale il contributo sanitario salirà in modo molto rapido. Questo creerà forti disincentivi a mantenere il proprio reddito sotto tale soglia.

Penalizzazione del matrimonio (o unione civile). Come è noto, è impossibile disegnare un sistema fiscale che sia progressivo rispetto al reddito familiare e che non penalizzi, in una direzione o nell’altra, la decisione di unirsi in matrimonio. Il sistema italiano attuale tassa i redditi individuali e non quelli familiari (con qualche aggiustamento in caso di coniuge a carico). Quindi, per esempio, una famiglia in cui un solo coniuge lavora e guadagna 50 mila euro è tassata di più di una famiglia in cui entrambi i coniugi lavorano, guadagnando 25 mila euro a testa. La proposta IBL propone di rompere con questa tradizione e passare alla tassazione del reddito familiare. Sotto un sistema flat tax puro non vi è differenza tra tassare il reddito individuale o quello familiare: il 25 per cento di una somma è uguale alla somma del 25 per cento di ciascun addendo.

Ma la proposta IBL non è di flat tax pura. Consideriamo due giovani residenti al sud (la residenza è rilevante perché incide sul minimo vitale) che devono decidere se formare o meno un nucleo familiare e stanno analizzando le conseguenze fiscali delle loro decisioni. Uno ha un reddito lordo annuale di 15 mila euro. Usando il calcolatore che IBL mette a disposizione vediamo che le imposte dirette sono pari a 1.450 euro. L’altro è privo di reddito. Riceve quindi il “minimo vitale”, pari a 4.600 euro annuali. Quindi, se non si unisce in matrimonio o unione civile, la coppia dispone di un reddito complessivo di 18.150 euro. Cosa succede se i due giovani formano una famiglia e vengono quindi tassati come tale? Sempre usando il simulatore fornito da IBL, la famiglia riceve un sussidio di 682 euro. In altre parole, prima di formare la famiglia i due giovani avevano assieme un reddito netto di 18.150 euro. Dopo aver formato la famiglia il reddito netto si riduce a 15.682. Si tratta di una penalizzazione assai pesante che scoraggerà le unioni formali per chi si trova a quei livelli di reddito. Ovviamente è possibile introdurre modifiche che possono attenuare l’effetto, e il libro contiene una lunga discussione degli effetti relativi alla tassazione della famiglia. Il problema centrale però resterà. Chi percepisce un sussidio condizionato in quanto incapiente è necessariamente penalizzato, dal punto di vista reddituale, se si unisce a una persona capiente quando il reddito di riferimento per la tassazione è quello familiare.

Altro. Ci sono almeno un altro paio di punti critici da menzionare, anche se non c’è spazio per approfondire. Primo, per compensare parzialmente la perdita di gettito viene proposta l’istituzione di una “Imposta per i servizi urbani (Isu) di esclusiva competenza comunale con base imponibile indipendente da elementi patrimoniali o reddituali”. La base imponibile può però dipendere dalla intensità di fruizione dei servizi e della qualità della fornitura degli stessi. A me pare una complicazione inutile. Se l’intensità di fruizione dipende dall’ampiezza della casa o esercizio commerciale non c’è nessuna grossa novità rispetto a ora. Se invece ci si orienta per una effettiva indipendenza da elementi patrimoniali e reddituali allora si tratta di una imposta fissa per persona, ciò che in inglese si chiama poll tax. I più anziani ricorderanno che fu proprio la proposta di poll tax che generò una rivolta fiscale nel Regno Unito che finì con la cacciata di Margaret Thatcher dal governo nel novembre 1990. Sarà da vedere se gli italiani si riveleranno più docili. L’idea poi di mettere in relazione la tassa alla qualità del servizio è completamente utopistica. Secondo, la proposta tendenzialmente uniforma il trattamento dei redditi da pensione e quelli da lavoro. Questo è un peccato, perché implica rinunciare allo strumento della detrazione per lavoro per ripristinare un minimo di equità intergenerazionale e ridurre il disincentivo all’offerta di lavoro.

Gli effetti politici
Veniamo infine alla domanda da un milione di dollari. Quale impatto può avere la proposta IBL nel clima politico attuale? Come noto, le proposte di flat tax da un lato o di reddito minimo (odi cittadinanza, o altro nome che Sono presenti però parecchi punti critici: trappole della povertà, penalizzazione del matrimonio e qualche complicazione si voglia dare) che finora hanno visto la luce appartengono più al genere fantasy che all’analisi economica. In alcuni casi è banale ignoranza della classe politica, ma più in generale è ovvio che i politici siano reticenti a chiarire fino in fondo che una diminuzione della pressione fiscale è possibile solo se si riduce contestualmente la spesa pubblica.

La proposta IBL è da questo punto di vista solida: ha vari problemi, come illustrato sopra, ma non confida in forze magiche per il raggiungimento del pareggio di bilancio. Il rischio naturalmente è che si decida di adottarla a spizzichi rifiutando l’impianto di insieme e generando quindi gli immancabili buchi di bilancio. Per esempio, la proposta IBL include il “minimo vitale”, un sussidio universale per gli incapienti, ma propone di finanziarlo eliminando, tra le altre cose, le prestazioni agli invalidi civili. Si tratta principalmente di una partita di giro, la maggior parte delle persone che godono di un certo trattamento assistenziale dovrebbero continuare ad essere assistite mediante il minimo vitale, ma la transizione non sarà indolore. La coincidenza non sarà perfetta, qualcuno ci perderà, e l’opposizione dei perdenti sarà feroce. D’altra parte, quando il reddito è di 450 euro al mese, 30 euro in più o in meno fanno una bella differenza. Un altro esempio è la proposta di aumento dell’Iva al 25 per cento. Chi trae scarso giovamento dal cambio dell’Irpef (ossia persone con un reddito medio, né molto basso né molto alto) rischia di perderci e sicuramente si opporrà. Niente di particolarmente terribile, i cambiamenti di legislazione fiscale che beneficiano tutti esistono solo come esempi nei libri di testo e un qualche conflitto distributivo appare sempre.

Ma la situazione è resa più grave dal fatto che, con tutta probabilità, il prossimo Parlamento verrà eletto con una legge elettorale proporzionale e avrà un governo di coalizione composto da forze eterogenee. È quindi difficile essere ottimisti.

Da Il Foglio, 23 agosto 2017

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