La fine della maggior tutela nel settore gas e energia: non è mai troppo presto

La difesa dello status quo non coincide con la difesa dei consumatori - quanto piuttosto delle rendite di posizione

7 Settembre 2015

IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

Attorno all’energia elettrica e al gas circola una “leggenda nera”: senza il controllo sui prezzi al consumo, gli utenti si troverebbero a spendere di più, anche in presenza di un clamoroso eccesso di offerta.

Eppure, già oggi i consumatori che scelgono di sottoscrivere offerte sul mercato libero risparmiano rispetto al regime di cosiddetta maggior tutela, e non poco. Quanti, fra loro, spendono di più, lo fanno perché liberamente scelgono offerte che contengono componenti di servizio diverse e aggiuntive: siano esse un’assicurazione contro il rischio di incrementi delle tariffe (sotto forma di prezzi bloccati), particolari caratteristiche della fornitura elettrica (come nel caso delle offerte green) oppure servizi ulteriori quali quelli legati all’efficienza energetica o altro ancora.

Perché, allora, sono in molti – a partire dai sindacati e dalle associazioni dei consumatori – a opporsi a quelle norme del Ddl Concorrenza che prevedono la fine della maggior tutela a partire dal 2018?

L’argomento che l’acquisto di energia elettrica e gas ha una tale complessità che il consumatore deve essere “protetto” non regge. Per quanto complessa, una bolletta della luce o del gas è paragonabile a molte altre offerte commerciali con cui tutti noi consumatori ci confrontiamo quotidianamente. Se le famiglie sono ritenute sufficientemente mature per decidere in autonomia il 95% delle loro spese, non c’è ragione di ritenerle incapaci di decidere come spendere il residuo 5% che appunto, in media, viene assorbito da corrente e riscaldamento delle abitazioni.

A questo argomento si accompagna quello secondo cui gas e energia sono beni di cui non possiamo fare a meno: restare al freddo e al buio in casa sono indubbiamente condizioni impensabili, ma che la liberalizzazione dei prezzi al consumo comporti una simile condizione, anche solo parzialmente, è un corollario tutto da dimostrare. Si veda alla voce telefonia.

Oltre tutto, la presenza di un’offerta pubblica non è neutrale rispetto alle scelte delle famiglie: sebbene esse siano già oggi teoricamente libere di orientarsi verso il mercato, nei fatti la promessa della cosiddetta “maggior tutela” spinge molti a restare all’ombra di Mamma Stato. Se Mamma Stato ci protegge e se si chiama “maggior tutela”, un motivo ci sarà: anche se non capiamo bene quale.

Di conseguenza, i consumatori tendono a essere relativamente poco attivi, cioè a non cambiare operatore e a non dare segno di quella vivacità che mostrano in tanti mercati (pensate all’agilità con cui il consumatore medio si muove fra le offerte per la telefonia mobile). E’ dunque vero precisamente il contrario di quanto sostengono coloro che vedono nella “pigrizia” dei consumatori la spia del loro essere impreparati.

La difesa dello status quo non coincide con la difesa dei consumatori – quanto piuttosto delle rendite di posizione di tutti quei soggetti e quegli organismi che all’ombra della maggior tutela hanno costruito uno status e un’occasione di visibilità e di “mercato”.

E’ il classico caso in cui l’organo fa la funzione: chiudere la stagione “transitoria” (così dice la legge) della maggior tutela è anche un’occasione per fare pulizie tra enti e agenzie, focalizzando meglio l’attività delle istituzioni che invece hanno un ruolo anche al di là della regolamentazione dei prezzi retail.

Se bisogna fare una critica al governo, allora, non è tanto che abbia posto fine al regime di maggior tutela, ma che il “funerale della maggior tutela”, per parafrase il Presidente del Consiglio Renzi, sia fissato solo al 2018. Non è mai troppo presto, per restituire ai consumatori libertà: e, certamente, quella responsabilità che alla libertà si accompagna.

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