La breve stagione dei miracoli

Quella del dopo guerra fu la sola stagione in cui si credette, anche se per poco tempo, nella capacità del privato e della libertà economica

30 Maggio 2025

La Ragione

Redazione

Argomenti / Economia e Mercato

Gli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale sono descritti e ricordati come quelli della rinascita e del boom economico. Per forza, si penserà: si veniva dalla distruzione (e dal disonore) nazionale e ci furono i contributi americani alla ricostruzione e alla ripartenza. Vero, ma non è proprio così, perché quella non era una condizione soltanto italiana, eppure da noi le cose andarono meglio che altrove, come se si fosse sprigionata un’energia vitale poi assopitasi. Un miracolo economico che spiega il titolo di questo libro.

Quello preso in esame da Rossi in “Un miracolo non fa il santo” è un lungo periodo dell’economia italiana —dal 1861 (data dell’Unità) al 2021— e quel che accadde negli anni del miracolo resta un caso isolato. L’Italia ha mantenuto due caratteristiche non invidiabili: un’economia gregaria rispetto a quelle dominanti in Europa e un ritmo di crescita inferiore a quello degli altri. Cosa che si ripete ancora nei nostri giorni, con una crescita inferiore alla media dell’Unione Europea (talora capita di superarla, ma per stagioni passeggere; nel medio periodo non siamo soltanto sotto, ma considerevolmente sotto).

Perché quello del miracolo rimane un caso isolato, al punto da non potere fare il santo? Fu la sola stagione in cui, forse anche per disperazione, si credette nelle libertà economiche e nella libera intrapresa. La ricostruzione non fu sostenuta dalla spesa pubblica (difatti si era generato un debito pubblico nell’intorno del 35%): fu il settore privato a correre, fu il coincidere della consapevolezza individuale e della convenienza collettiva a non cercare protezioni, ma a correre i rischi dell’innovazione e dell’investimento. Ciò che sembra incredibile è che, visti i risultati notevolmente positivi, ci si sarebbe
potuti aspettare che l’esperienza divenisse ragione sufficiente per continuare su quella strada. Invece no, l’Italia corporativa e delle rendite richiuse subito la strada e forzò la politica a tornare alle vecchie e cattive abitudini.

Così si è entrati nella stagione successiva, in cui la spesa pubblica cresceva e la velocità di generazione di ricchezza diminuiva. E ancora oggi, del resto, abbondano le forze politiche e culturali che per spingere la crescita economica chiedono più spesa pubblica anziché più libertà individuale ed economica.

oggi, 2 Giugno 2025, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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