L'uso del contante divide i populisti

Misura di civiltà contro l'evasione o limitazione della nostra libertà?

15 Giugno 2018

La Stampa

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

«Fosse per me», ha detto Matteo Salvini, non vi sarebbero limiti all’uso del contante. Luigi Di Maio si è affrettato a correggere l’alleato: alzare la soglia per i pagamenti «cash» non è previsto dal contratto di governo. Leghisti e pentastellati fanno appello a gruppi sociali diversi e attingono a un diverso vocabolario politico. È il caso della stretta sulle banconote: misura di civiltà contro l’evasione o limitazione della nostra libertà?

Il fatto di avere un mezzo di pagamento a corso legale implica che le persone siano, per l’appunto, obbligate ad accettarlo in cambio dei beni e servizi che offrono. Sta proprio in questo la «magia» del denaro: qualcuno ci dà un paio di jeans o un condizionatore e si accontenta di ricevere striscette di carta colorata. Dire che non può accettarne più di un certo numero, cioè decidere che tutta una serie di beni e servizi non possono essere pagati sull’unghia, indebolisce la grande idea che sta dietro la moneta, quest’atto di fiducia collettivo nelle striscette colorate.

Quando la Bulgaria stava ragionando di abbassare la soglia a 1000 lev, all’incirca 500 euro, la Bce l’ha sconsigliata (11 luglio 2017). E l’ha fatto in parte per difendere la scambiabilità della cartamoneta, in parte perché per determinati gruppi sociali la banconota resta lo strumento migliore per effettuare transazioni consapevoli. Il caso più immediatamente evidente è quello delle persone anziane. Ma pensate anche ai migranti, che hanno una posizione finanziaria precaria e non si aprono un conto corrente dove non potrebbero depositare che spicci. Devono imparare a usare una valuta che non conoscono. La cartamoneta è ancora il modo migliore per comprendere il valore di ciò a cui si sta rinunciando in cambio dell’oggetto o della prestazione che si va ad acquistare.

Si dirà: il contante lo usano i delinquenti. Senz’altro. Ma forse la cosa più rilevante, se di crimini si parla, è la natura degli scambi in cui costoro si avventurano, non il modo in cui regolano il dare e l’avere. La carta moneta è anonima, passa di mano senza rivelarci nulla dei suoi precedenti proprietari, il che può essere garanzia di libertà. In tutti quei casi nei quali il dissenso politico viene represso, per esempio, chi auspica la totale tracciabilità di qualsiasi transazione sogna in realtà la fine di ogni opposizione. In Italia tendiamo a usare il contante più di quanto non si faccia altrove e l’evasione è da sempre considerata uno dei grandi problemi del Paese. Il contrasto a quest’ultima implica la lotta alla cartamoneta? Nell’era dei big data, lo Stato sa di noi un’infinità di cose. La pubblica amministrazione di una democrazia europea ha tutti i mezzi per scovare chi non paga le tasse. Forse anche per questo in civilissimi Paesi europei come Austria e Germania non ci sono limiti ai pagamenti in contante. Che nel nostro Paese molto spesso sia difficile, al contrario, utilizzare la carta di credito per perfezionare una transazione è verissimo. Magari la Pa potrebbe dare il buon esempio. Siamo sicuri che gli uffici pubblici, tanto per cominciare, siano sempre pronti ad accettare pagamenti elettronici, come la legge prevedrebbe?

Lo scontro sul contante non è una novità nella politica italiana e chiama in causa idee molto radicate. Ogni bravo venditore cerca di rendere più facile farsi pagare dal proprio cliente: lo sanno bene quei piccoli imprenditori che la Lega vuole tenersi cari. Ma c’è anche un elettorato, oggi egemonizzato dai Cinque Stelle, che invece pensa che ogni scambio monetario vada considerato fraudolento fino a prova contraria. I blocchi sociali che sostengono i due partiti al governo hanno istinti, prima ancora che proposte, molto diversi. Sarà una convivenza movimentata.

Da La Stampa, 15 giugno 2018

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