L'urgenza di ridefinire il servizio universale

Un paper dell'Istituto Bruno Leoni fa il punto della situazione sul monopolio di cui gode Poste Italiane: la notifica degli atti giudiziari

16 Febbraio 2015

La Repubblica

Alessandro De Nicola

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Grande anno il 2015 per le Poste. L’amministratore delegato Caio ha appena iniziato un tour del Belpaese per spiegare il piano industriale in vista della quotazione della società. Nelle interviste per spiegare il futuro di Poste, egli si pone in termini problematici la questione di come si debba intendere l’obbligo (remunerato) di servizio universale assunto dalla sua impresa in un mondo in cui c’è sempre meno corrispondenza. Posto che non si vuole negare alla vecchina nel paesello il diritto a ricevere la cartolina del nipote in vacanza, si pongono alcuni interrogativi. Sicurezza della consegna o velocità? Remunerazione del servizio? Per aiutare la riflessione, capita a proposito un paper dell’Istituto Bruno Leoni che fa il punto della situazione su un piccolo ma non irrilevante monopolio di cui gode Poste Italiane, la notifica degli atti giudiziari.

Il processo di liberalizzazione della consegna della posta é cominciato negli anni ’90 ed é proseguito negli anni. Le riserve a favore di Poste Italiane non sono molte, in particolare le notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziari e degli atti di violazione del Codice della strada. Entrambe le attività rientrano nel “servizio universale riservato”. Quando il dipendente di Poste consegna un atto giudiziario assume la qualifica di pubblico ufficiale ma, se ad essere notificato è un ricorso tributario, questo può essere tranquillamente portato a destinazione anche da un operatore privato. Molte pubbliche amministrazioni che spediscono atti di altra natura, comuni e tribunali, già si affidano a società private scelte con procedura competitiva. Già tale bizzarra differenziazione dovrebbe farci chiedere quale sia la distinzione ontologica tra documenti comunali, atti giudiziari di stampo tributario e atti di altri giudizi così rilevante da giustificare un diverso trattamento.

L’Agcom ha stabilito che non c’erano ragioni logiche per considerare la consegna di atti giudiziari come un servizio universale né tantomeno da offrire in regime di esclusiva. Per l’Agcom il monopolio ha la conseguenza di mantenere i prezzi alti rispetto a quelli che scaturirebbero dal gioco delle forze di mercato (in linea conia teoria, economica generalmente accettata). Vista l’esistenza di alternative come i messi giudiziari e la Pec, non si capisce perché bisogna precludere ad imprese private, debitamente autorizzate, di cimentarsi pure nelle notifiche giudiziarie.
Il servizio universale, per la normativa europea, é un obbligo che può generare perdite e quindi può essere finanziato dallo Stato. Ma va attribuito con procedure di appalto pubblico a chi è in grado di svolgerlo meglio: l’esatto contrario di quello che succede perle spedizioni di multe e atti giudiziari, assegnati senza gara alle Poste, pur essendo una prestazione che potrebbe essere svolta da concorrenti e per di più profittevole.

Se il disegno di legge sulla concorrenza che il governo dovrebbe presentare in futuro conterrà l’abolizione di questa riserva, si metterà fine a una situazione non più giustificabile. L’esempio degli atti giudiziarie delle multe stradali dovrebbe indurre ad una riflessione più ampia, sia sui limiti del servizio universale sia sulle società designate al suo svolgimento. Se pensiamo alla Rai, siamo certi che il servizio pubblico per il quale essa è remunerata coni soldi del contribuente non sia definito in maniera troppo ampia e comunque non potrebbe essere svolto dai suoi concorrenti? Nelle telecomunicazioni, il servizio universale che in teoria l’Agcom dovrebbe assegnare attraverso una procedura efficace, obbiettiva, trasparente e non discriminatoria in cui nessuna impresa è esclusa a priori, è da sempre aggiudicato solo a Telecom Italia addirittura per disposizione di legge (art. 58 del Codice delle Comunicazioni elettroniche), il che potrebbe essere persino dannoso per quest’ultima società. L’ abnorme estensione del mercato tutelato nel settore elettrico, a scapito di quello libero, esprime una concezione per la quale, essendo l’energia un bene primario, bisogna rendere la sua fruizione universale, proteggendo fasce amplissime di consumatori.

Quello di cui c’è bisogno è una valutazione complessiva di quali sono le genuine necessità imprescindibili dei cittadini, meritevoli di rientrare sotto la denominazione di servizio universale, nonché di una liberalizzazione vera aprendo la possibilità di svolgere il servizio attraverso gare competitive a più operatori. Senza nulla togliere all’Italicum, certamente i cittadini avrebbero più immediato e concreto beneficio da maggiore concorrenza che dal premio elettorale di lista.

Da La Repubblica, 16 febbraio 2015

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