L'Italia al voto sull'orlo dell'abisso

A prescindere dall'esito del referendum, la gravità del tono assunto dal dibattito deve farci riflettere

29 Novembre 2016

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

All’avvicinarsi del referendum costituzionale si moltiplicano le analisi che annunciano conseguenze rilevanti per l’intera società italiana: in caso di vittoria del “sì” oppure del “no”. In linea di massima (un’eccezione è però rappresentata da The Economist), gli analisti tendono a prevedere prospettive particolarmente negative nel caso in cui la riforma predisposta dal governo guidato da Matteo Renzi non fosse approvata. L’idea comunemente accolta è che l’Italia abbia bisogno di un esecutivo più forte, che faccia i conti con una sola vera camera dei rappresentanti e disponga di un’ampia maggioranza sicura: in effetti, riforma costituzionale e nuova legge elettorale sembrano procedere nella medesima direzione.

Tutti questi cambiamenti sono considerati necessari per imporre quelle trasformazioni, specie in materia di finanza pubblica, che finora non sono state possibili. La tesi degli osservatori internazionali è che l’Italia sarebbe il grande malato del Vecchio Continente, prigioniero di vizi atavici che solo una struttura del potere politico più centralizzata e senza contrappesi potrebbe provare a guarire.

E’ discutibile che una realtà come quella italiana, in cui lo Stato preleva l’80% delle imposte (e la quasi totalità dei contributi sociali), possa migliorare con un’ulteriore centralizzazione del potere. Probabilmente potrebbe invece essere ben più ragionevole responsabilizzare gli enti locali, obbligandoli a vivere sulle proprie gambe: con i soldi che essi devono chiedere ai loro contribuenti.

Ma soprattutto un’altra considerazione è doverosa. Quando una serie di commentatori vedono una possibile connessione tra l’esito del referendum dei prossimi giorni e la tenuta dell’economia nel suo insieme, bisogna trarre da tutto ciò una sola conclusione: e cioè che in questi anni si è portato il Paese in una condizione terribile. Uno Stato senza deficit e con un debito contenuto non rischierebbe nulla da alcune modifiche della Costituzione: sia che siano approvate, sia che siano bocciate. Al di là dell’esito della consultazione popolare e anche al di là del destino di Renzi e dei suoi, il vero dato da cogliere è che l’Italia si trova in una situazione drammatica e deve prenderne consapevolezza.

Le questioni cruciali, allora, vanno ben aldilà del voto alle porte. Si tratta, infatti, di iniziare a considerare in tutta la sua gravità un debito pubblico che sta per arrivare al 140% del Pil e un debito pensionistico perfino peggiore; una funzione pubblica pletorica e ingombrante, che ostacola lo sviluppo del sistema produttivo; una serie di monopoli legali e aziende pubbliche (dalle poste alle ferrovie, dalle banche al settore energetico) che devono essere obbligati a confrontarsi con la concorrenza.

E c’è poi il problema cruciale di un rapporto tra Nord e Sud caratterizzato da logiche assistenziali che – lo sappiamo – sono palesemente fallimentari. Con ogni probabilità, allora, il referendum è meno importante di quanto non sembri, ma esso ci sta obbligando a considerare lo stato comatoso dell’economia italiana. Quale che sia il risultato, dopo il 4 dicembre bisognerà affrontare sul serio i veri problemi del Paese.

Da Il Giornale, 29 novembre 2016

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