Il deputato Fratoianni ha sottolineato compiaciuto l’approvazione di un suo emendamento nel decreto milleproroghe che toglie la visibilità dei test invalsi dal curriculum degli studenti.
Le prove Invalsi sono prove standardizzate a cui si sottopongono le scuole italiane per rilevare i livelli di apprendimento degli studenti, con il principale scopo di monitorare il sistema italiano di istruzione e confrontarlo con quello dei paesi europei, e quindi di far comprendere alle scuole il livello di conoscenze e competenze che riescono a offrire nelle loro aule. Indirettamente, possono essere ritenuti utili dagli studenti stessi che vi si sottopongono, come ulteriore, aggiuntivo strumento di verifica del livello di conoscenze e competenze raggiunto.
L’emendamento Fratoianni ritarda di un anno (col fine, evidentemente, di prorogare ulteriormente il termine o di cancellare definitivamente la previsione) la creazione del “curriculum dello studente”, prevista dalla riforma della “buona scuola” per raggruppare tutte le competenze acquisite nel percorso scolastico. Inoltre, l’emendamento esclude dal curriculum i risultati Invalsi dell’ultimo anno (italiano, matematica, inglese) che rimangono quindi riservati. Il test, nonostante non fosse obbligatorio, l’anno scorso è stato fatto dal 96% degli studenti.
Negli stessi giorni, in una scuola primaria emiliana è entrato in sperimentazione un sistema di autovalutazione dei bambini e delle famiglie attraverso emoticon.
Un’iniziativa sperimentale di autovalutazione è, per l’appunto, un’iniziativa sperimentale e non va necessariamente caricata di significato. Ma tra la paura di offendere qualcuno (il sistema scolastico, prima che gli studenti), che ha generato l’emendamento sull’Invalsi e l’approccio da customer satisfaction dell’autovalutazione con faccine, non vorremmo che si perda il senso e il valore di esprimere giudizi.
Valutare è un processo ragionato e imperfetto al termine del quale si esprime un giudizio motivato e ponderato: è quel che fanno gli educatori e i professori, ogni giorno, nei confronti di bambini e ragazzi che hanno modo e tempo di conoscere e misurare. Valutare è anche mettere a confronto realtà simili per imparare reciprocamente.
Giudicando si sbaglia, e gli insegnanti, di qualsiasi grado, lo sanno bene, nel doversi sentire responsabili del giudizio dei loro studenti. La natura imperfetta e fallibile del giudicante e del giudizio sono a malapena celate dalla sua crescente burocratizzazione.
Eppure un sistema migliore, per aiutare le persone ad apprendere, non è stato ancora inventato.
In questa nostra società della conoscenza e dell’informazione, come piace chiamarla, i giudizi non sono una medaglia da esibire o un’onta da nascondere. Sono uno dei modi in cui, prima di tutto, si auto-riconosce il grado di apprendimento acquisito e l’impegno dimostrato e con questo provare a costruire il proprio percorso, capire quali sono le proprie attitudini, mettersi in gioco. L’alternativa è un 18 politico, o l’emoticon equivalente. L’una cosa e l’altra non sono solo una dimostrazione d’ipocrisia. Forse rivelano inavvertitamente la convinzione profonda che la capacità d’insegnare e d’apprendere sia qualcosa sulla quale, oggi, è convenienza di tutti tacere.
19 febbraio 2020