L'illusione demagogica di punire la ricchezza

Obama spinge verso una crescente «europeizzazione» della società americana

22 Gennaio 2015

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nel suo discorso sullo stato dell’Unione il presidente Barack Obama ha ribadito la volontà di aumentare il prelievo fiscale a carico dei ricchi, così da permettere agevolazioni a favore del ceto medio. La sua idea è che una società diseguale è ingiusta: da qui la necessità di colpire i possidenti e le imprese, per aiutare le famiglie con redditi non elevati.
Il messaggio lanciato risponde a logiche tutte interne alla politica americana. Abbiamo un presidente ormai senza maggioranza che annuncia un programma radicale quale punto di partenza di una negoziazione con i repubblicani da cui spera di ottenere il massimo. Ma quelle parole sono anche indicative di una semplificazione demagogica assai comune in Europa e che non risparmia neppure gli Stati Uniti.

In tutto l’Occidente si assiste infatti all’imporsi di una cultura populista secondo la quale bisogna colpire chi ha di più per aiutare chi ha di meno. Ma questo non soltanto è ingiusto (sottraendo risorse ai legittimi proprietari), ma neppure è efficace. La storia è ricca di fallimenti in questo senso. L’ultimo clamoroso flop di queste riforme basate sull’invidia sociale si è avuto in Francia, dove Franois Hollande prima ha annunciato una speciale tassa del 75% sui redditi più elevati (oltre il milione di euro), poi l’ha un poco annacquata e infine ha deciso di fare marcia indietro. E così ora quella norma verrà meno, dopo avere danneggiato globalmente l’immagine della Francia ormai considerata un Paese avverso al business e dopo aver prodotto, al tempo stesso, ben poche entrate per il fisco parigino. Da noi l’idea del governo Renzi di colpire le transazioni finanziarie sta producendo effetti analoghi. Da quando è stata introdotta la «Tobin tax» all’italiana (che ha alzato l’aliquota sulle rendite finanziarie dei prodotti azionari dal 20% al 26%) si è assistito a un netto calo degli investimenti, collocatosi tra il 15% e il 20%. Un Paese già oggi incapace di fare affluire risparmio privato verso le aziende ha fatto quindi una scelta autolesionistica e ora, non a caso, il Tesoro sta dando un’interpretazione meno punitiva di alcune norme.
D’altra parte, non è la prima volta che i governanti si trovano costretti a modificare le loro scelte.

Quarant’anni fa le aliquote marginali sui redditi, in Europa, erano spesso intorno al 70% e in qualche caso si arrivava come in Svezia sopra al 90%. Ma tutto ciò fu spazzato via dalla considerazione elementare che imposte tanto alte alla fine non tassano nulla: poiché capitali e capitalisti si spostano dove sono meno penalizzati. La competizione istituzionale non soltanto ha permesso al tennista Bjórn Borg di andarsene a Montecarlo o alle imprese italiane di investire in Svizzera, ma alla fine ha convinto gli stessi governi della Vecchia Europa a non seguire politiche così irrazionali.
Obama ora spinge verso una crescente «europeizzazione» della società americana, nonostante l’America rifiuti da sempre la lotta di classe e si basi sulla consapevolezza che l’economia nel suo insieme ha bisogno di miracoli capitalistici come Microsoft, Google o Facebook. È ragionevole pensare, anche per questo, che le resistenze dinanzi al populismo obamiano saranno molte e anche assai accese.

Da Il Giornale, 22 gennaio 2015

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