L'autonomia finita nel cassetto

A ottobre saranno passati ben cinque anni dai due referendum sull'autonomia e da allora nulla è accaduto

22 Luglio 2022

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Politiche pubbliche

Nel suo intervento al Senato, Mario Draghi ha citato anche la questione dell’autonomia differenziata. Le parole che il premier ha usato sono queste: «Ci sono altri impegni che l’esecutivo vuole assumere: che riguardano, ad esempio, la riforma del sistema dei medici di base e la discussione per il riconoscimento di forme di autonomia differenziata». Insomma, al termine di una lunga fila di temi ritenuti di un qualche peso Draghi ha evocato pure l’autonomia, collocata comunque dopo i medici di base

Quel passaggio dice tutto. A ottobre saranno passati ben cinque anni dai due referendum sull’autonomia, tenuti in Veneto e Lombardia, e da allora nulla è accaduto. Non soltanto non si sono fatti passi avanti, ma anzi dobbiamo constatare che quel progetto è ormai politicamente orfano: non interessa più alla Lega e neppure ai governatori regionali, che non hanno mai battuto i pugni sul tavolo.

Il fatto che la politica guardi altrove, però, non significa che la questione sia uscita dai radar. All’interno della realtà veneta, infatti, c’è chi continua a sognare una qualche forma di autogoverno e in fondo spera perfino che il contorto processo riformatore delineato dall’articolo 116 della Costituzione possa produrre spazi di autonomia.

Il forte senso dell’identità storica e culturale veneta, da un lato, e la consapevolezza di dover gestirsi da sé per poter sfidare il futuro e uscire dalla crisi, dall’altro, continuano a mantenere un solido consenso intorno a ogni ipotesi genericamente «venetista». Il fatto che i leader politici parlino d’altro non significa che manchi una forte domanda dal basso. Non è un caso che la più importante e seguita emittente televisiva regionale continui a riportare sullo schermo, in alto e a destra, il numero dei giorni trascorsi invano da quel 22 ottobre del 2017 che vide il 98,1% dei votanti esprimersi a favore di una svolta autonomista (e l’affluenza era stata superiore al 57%).

Per i difensori dello status quo cinque anni fa era stata una Caporetto, ma poi tutto si è arenato nei palazzi romani. Oggi in Veneto soltanto una ristretta minoranza s’illude davvero che l’aspirazione dei veneti a prendere in mano il proprio destino sarà prima a poi soddisfatta, anche in modo molto parziale, da quanti verranno dopo Draghi. I più ritengono che il Veneto continuerà a sognare le più diverse forme di autogoverno e che la politica continuerà a rispondere picche. Com’è successo in questi ultimi 5 anni.

da Il Giornale, 22 luglio 2022

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