L'Italia cantonale soluzione ai parassiti

Le idee di Gianfranco Miglio su federalismo e “parassitismo politico” sono più attuali che mai. Esempio ed eredità del politologo

8 Agosto 2021

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Il contributo di Gianfranco Miglio alla comprensione del fenomeno politico è stato di straordinaria importanza e con il passare del tempo ci si accorge sempre più come la qualità dello studioso comasco fosse ben superiore a quella di tanti altri intellettuali più celebrati.

Senza dubbio alcune sue ricerche sono destinate a essere lette anche in futuro entro una ristretta cerchia di specialisti, ma è pur vero che il cuore della sua riflessione è comprensibile da chiunque. Questo probabilmente può spiegare come sia stato possibile che, nell’ultima fase della sua esistenza, egli abbia acquisito un’ampia popolarità e sia stato riconosciuto nel dibattito pubblico come uno dei pensatori politici di maggior rilievo.

Una delle sue linee di ricerca, forse più attuale ora che mai, riguarda il parassitismo politico. Mentre tanti scienziati politici dell’ultimo mezzo secolo si sono soprattutto consacrati a questioni oggi quasi irrilevanti (dal “pluralismo polarizzato” al “bipartitismo imperfetto”, per ricordare un paio di formule un tempo tanto in voga), Miglio ha focalizzato la sua analisi sul fatto che ogni sistema politico si costituisce attorno a quel bottino che è utilizzato per assicurarsi rendite e favori.

Se in passato l’esercito vincitore riduceva in schiavitù i soldati sconfitti, oggi sono gli scontri elettorali e i giochi di Palazzo a definire chi, grazie alla politica, è in grado d’arricchirsi a spese degli altri e chi invece deve pagare.

Con e contro la Lega
Lo stesso impegno personale di Miglio sulla scena politica, prima con la Lega di Bossi e poi in polemica con quel partito, discende in larga misura da qui. Dinanzi al sorgere delle “leghe” regionali, durante gli anni Ottanta egli capì che c’era la possibilità, per le aree settentrionali, di trovare un soggetto politico determinato a porre fine (o quantomeno a ridurre) il massiccio trasferimento di risorse: quello che oggi è detto “residuo fiscale”.

Era persuaso che il Nord non meritasse tale penalizzazione e che il Sud non traesse alcun vero beneficio da questo “aiuto”, che in realtà avvantaggia soprattutto il ceto politico e l’imprenditoria “di relazione”, che dalle imposte sottratte all’economia settentrionale traggono potere e ricchezza.

All’origine della sua militanza nordista, ovviamente, non c’era soltanto il rigetto dell’assistenzialismo e quello sguardo “realista” guardava i fatti per quello che sono. In fondo, già nel ’45 Miglio aveva fatto parte di un gruppo di intellettuali cattolici riuniti attorno alla rivista “Il Cisalpino” che immaginava una prospettiva cantonale per l’Italia. Pure quando promosse i lavori del Gruppo di Milano, che elaborò ipotesi di riforme costituzionali, egli pose sul tavolo la questione federale, che però venne lasciata cadere dagli altri studiosi, poco interessati a quella prospettiva teorica.

Il tema cruciale
Per Miglio, invece, il federalismo era cruciale. Si può capire la centralità di questo tema nel suo pensiero politico, però, soltanto se si comprende come larga parte della sua riflessione ruoti attorno all’opposizione tra l’obbligo politico (derivante da decisioni di Stato) e l’obbligo contrattuale (che discende, invece, da impegni sottoscritti volontariamente). Nel quadro della sua riflessione, il contrasto tra le due forme di obbligo è cruciale, dato che quando prevale l’obbligo politico la società tende a chiudersi e perdere dinamismo, mentre economia e cultura fioriscono soltanto quando l’obbligo contrattuale cresce d’importanza.

Volendosi studioso freddo e analista (quasi) senza emozioni né valori, Miglio presentò tale contrapposizione in termini meramente descrittivi, parlando anche di un pendolo della storia che talvolta si sposta verso un polo (quello della politica) e talvolta verso l’altro (quello del contratto).

In verità, la preferenza di Miglio per una società liberamente contrattuale traspare a più riprese e questo è quanto mai evidente proprio nei suoi scritti sul federalismo. Sotto vari punti di vista, in Miglio la teoria federale ripropone a livello politico la logica del contratto liberamente accettato. In tal modo, egli pensa che in talune circostanze sia possibile organizzare la vita associata basandosi sulla responsabilità e sulla libera scelta. D’altra parte, ai suoi occhi la federazione non è un tipo di Stato, ma un modo alternativo di organizzare lo spazio pubblico.

Ecco perché Miglio – intrecciando il suo realismo politico con una prospettiva autenticamente visionaria – immaginò a più riprese una rifondazione istituzionale della penisola, tale da restituire capacità decisionale e autonomia decisionale alle comunità territoriali. Non soltanto riteneva che la storia italiana fosse basata sulle differenti località e quindi tale da rendere inadeguata una struttura unitaria e giacobina (quella che è stata adottata con l’unificazione risorgimentale, che s’è consolidata durante il fascismo e che è stata riproposta anche nella Costituzione repubblicana), ma soprattutto pensava che dalla crisi dello Stato moderno si potesse uscire unicamente grazie all’imporsi di un modello di società politica “pattizia”.

Questo spiega anche la viva simpatia che avvertì per talune esperienze civili e istituzionali radicate nella prima età moderna: dalle Province unite olandesi alla Hansa tedesca, dall’America dei Padri fondatori alla Confederazione svizzera. In tutte queste realtà egli ritrovava un elemento cruciale della civiltà europea, e cioè la valorizzazione delle relazioni volontarie e liberamente sottoscritte.

Con il suo radicalismo demitizzante egli giunse a immaginare perfino confederazioni “a termine”: ipotizzando che una serie di realtà territoriali potrebbero dare vita, negli anni a venire, a federazioni destinate a durare – ad esempio – soltanto dieci o vent’anni. Al termine di tale periodo, in effetti, alle varie realtà dovrebbe essere lasciata la facoltà di continuare quell’esperienza di cooperazione oppure no.

Diritto pubblico e privato
In fondo, la riflessione di Miglio tendeva a riportare l’intero diritto pubblico (caratterizzato da costrizione e irresponsabilità) nel campo del diritto privato, dove i nostri rapporti con un fornitore – ad esempio – restano in vita fino a quando siamo soddisfatti dagli scambi che intratteniamo. Egli era persuaso che anche nell’ambito delle relazioni tra le comunità politiche sarebbe importante adottare tali schemi, che obbligano tutti a dare il meglio e impediscono il delinearsi di stabili rapporti di dominio e sfruttamento.

da La Provincia, 8 agosto 2021

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