29 Maggio 2025
MF – Milano Finanza
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi IBL
Argomenti / Economia e Mercato
I prezzi dell’energia stanno diventando uno dei principali terreni di scontro politico e sociale: non si tratta soltanto del consueto tira-e-molla tra maggioranza e opposizione ma di una frattura più profonda che ha lacerato Confindustria e a cui si sta faticosamente cercando di porre rimedio. È dunque essenziale comprenderne le determinanti.
Le imprese lamentano un doppio gap di prezzo: quello tra Italia ed Europa e quello tra Europa e Usa. Per soddisfare il fabbisogno energetico di una società moderna servono diverse fonti e vettori (gas, derivati del petrolio, elettricità generata da fossili, rinnovabili o nucleare eccetera). Ciascuno di questi prodotti fa storia a sé e le ragioni del delta non sempre coincidono. Se ne possono però individuare alcune, che riguardano non tanto le oscillazioni di breve termine quanto gli andamenti di lungo termine.
Il primo elemento della divergenza – tra America ed Europa – ha l’epicentro nel gas: a Henry Hub (il mercato di riferimento Usa) esso quota sotto i 15 euro/MWh, mentre il Ttf (l’equivalente indice europeo) viaggia tra due e tre volte tanto. Questa distanza è incolmabile: gli Stati Uniti galleggiano su un mare di gas, che l’Unione Europea non ha; Washington consente l’impiego di tecniche che gli europei non accettano e talvolta vietano; gli Usa sono in gran parte disabitati e quindi tollerano produzioni invasive, la Ue è densamente popolata e con una maggiore propensione a seguire le opposizioni locali; le infrastrutture per il trasporto del gas da una parte all’altra del mondo (treni di liquefazione e rigassificatori) sono inevitabilmente limitate e pongono un vincolo ai volumi trasferibili. Insomma, competere con gli americani sul prezzo dell’energia è semplicemente impensabile.
Prima di vederla come una condanna ineluttabile, però, ragioniamo sui dati: l’Europa è esportatrice netta di beni verso gli Usa (è esattamente il motivo per cui Donald Trump minaccia dazi a ogni piè sospinto). Nel 2024 gli Usa hanno importato oltre 500 miliardi di euro di beni dall’Europa, di cui più circa 73 dall’Italia. Il costo dell’energia, per quanto importante, non è tutto: ci sono molti altri fattori che rendono le nostre imprese comunque competitive. E questo è un valore che va assolutamente riconosciuto e preservato.
Una seconda causa, che contribuisce ad ampliare il gap, sta nella regolamentazione europea, che – volendo scoraggiare l’impiego dei combustibili fossili – li rende più costosi. Non è un effetto inintenzionale: è il cuore della politica climatica europea. La transizione si risolverà probabilmente in una trasformazione dell’approvvigionamento energetico con benefici climatici ed economici, ma questo – per definizione – non avverrà che nel lungo termine: se così non fosse, non ci sarebbe alcun bisogno di obblighi, tasse e incentivi. Insomma, la riduzione dei costi energetici oggi no, domani no, ma dopodomani… Tutto ciò è ulteriormente amplificato da politiche, come il dazio carbonico alla frontiera (Cbam), che puntano a incorporare il costo emissivo in tutti i beni, importati ed esportati.
Questo porta a un terzo problema, che è specificamente italiano. Poiché la transizione presuppone l’elettrificazione dei consumi, e i costi dell’energia elettrica dipendono in ultima analisi dal modo in cui viene generata, un Paese povero di risorse e morfologicamente complesso non può che pagare l’energia elettrica più di Stati che hanno condizioni più favorevoli.
Non si capisce perché l’energia elettrica all’ingrosso costa in Italia più che altrove se non si tiene in considerazione che gli altri hanno peculiarità che noi non possiamo o non vogliamo sfruttare: il Nord Europa ha il vento del Mare del Nord, la Penisola iberica vaste aree desertiche che sembrano fatte apposta per ospitare distese di pannelli, la Scandinavia una dotazione idrica per noi inimmaginabile e la Francia il nucleare che abbiamo rifiutato nel passato e oggi non vogliamo.
Naturalmente i consumatori pagano i prezzi al dettaglio, che tengono conto anche degli oneri (connessi per esempio allo sviluppo delle reti) e delle tasse, e in alcuni casi ciò accorcia un poco la distanza tra l’Italia e gli altri. Ma vi sono ragioni oggettive per cui l’energia in Europa costa più che negli Usa e in Italia più che nel resto d’Europa. È razionale cercare strumenti per ridurre il gap, aiutando in particolare le imprese energivore ed esposte alla concorrenza internazionale: ma per farlo occorre partire dalla corretta comprensione delle cause.