Imprese e lavoratori, le libertà negate

Perché è sbagliato imporre la chiusura domenicale dei negozi

22 Giugno 2018

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nella competizione elettorale interna all’alleanza di governo siglata tra Lega e M5S, uno dei temi più evocati dal vice premier Luigi Di Maio è quello del lavoro domenicale, che il leader dei pentastellati vorrebbe se non eliminare quanto meno ridurre il più possibile.

La questione non è nuova e in effetti torna di continuo entro il dibattito pubblico. L’idea di fondo è che ognuno avrebbe diritto a godere in piena tranquillità del riposo settimanale all’interno della sua famiglia.

Oltre a ciò, sono molti a criticare sul piano estetico e perfino su quello morale il consumismo che dominerebbe quanti vanno di domenica nei centri commerciali, incapaci di sospendere per un attimo la frenesia della vita ordinaria.

Ogni valutazione su tali questioni si espone però a numerose contestazioni. È infatti assurdo pretendere di giudicare, dal punto di vista etico, chi passa alcune ore in un ristorante con i propri amici o chi acquista un romanzo in una libreria. Per giunta, c’è molta ingenuità e troppo moralismo nella condanna di cui sono oggetto quanti lavorano durante le festività. Un negoziante può aprire la bottega anche alla domenica non necessariamente perché sia avido e vuole aumentare i profitti, ma magari perché ha un mutuo da pagare.

Per giunta, è assurdo pensare che ogni posto di lavoro tolto alla domenica riappaia tale e quale negli altri giorni della settimana. Non è così. Un supermercato aperto sette giorni su sette vende maggiormente di uno che è chiuso un giorno alla settimana, e quindi ha bisogno di più addetti. Oltre a ciò, la libertà d’intraprendere favorisce una più ampia produzione e una maggiore crescita. Un’economia come quella italiana, che sostanzialmente si trova oggi nella situazione in cui versava molti anni fa (avendo soltanto ora recuperato le perdite conseguenti alla crisi del 2008), non dovrebbe allora porre ostacoli sulla strada di chi vuole lavorare e produrre.

Bisogna prendere atto, però, che nel mondo politico come nel confronto intellettuale ben pochi difendono la libertà di intraprendere e il diritto di lavorare. Ben pochi ritengono che dovrebbe essere facoltà del titolare di un’azienda fissare gli orari della propria attività; così come andrebbe lasciato alla negoziazione tra chi offre e chi domanda lavoro la determinazione dei salari e delle modalità di impiego.

Per giunta, tutta una serie di attività è bene che siano disponibili ogni giorno: dai trasporti alla salute, dalle farmacie ai ristoranti. E in un mondo come il nostro, che non è più quello di cent’anni fa, spesso è di straordinario aiuto poter fare acquisti o ricevere un servizio anche di domenica.

Le formazioni politiche che hanno dato vita all’attuale esecutivo hanno adottato la bandiera del “cambiamento”. Intendono voltare pagina e aiutare la nostra società a crescere, offrire più opportunità, progredire, modernizzarsi. Ma se le cose stanno così, non ha alcun senso pensare di aggiungere altre regole a quelle già esistenti, nell’illusione di sapere come gli altri devono comportarsi e quale è il loro bene.

Tutto ciò è poco rispettoso della libertà altrui e, per di più, tende a produrre conseguenze assai negative.

da La Provincia, 22 giugno 2018

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