«Il vero concorrente dei tassisti non è Uber, ma la tecnologia che rende obsoleto il loro monopolio»

La “macchina” si è appena messa in moto e non basterà un tavolo istituzionale a fermarne la corsa

23 Maggio 2014

Tempi

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Mercoledì 21 maggio a Milano si è concluso un capitolo della battaglia tra i tassisti e la multinazionale Uber: al tavolo composto dai sindacati dei taxi, dal ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, dal governatore lombardo Roberto Maroni e dal sindaco Giuliano Pisapia ha prevalso la linea dura contro il servizio Uber Pop, che consente a un cittadino qualsiasi, anche senza licenza, di trasportare viaggiatori a pagamento. Per Lupi «chiunque proponga questo servizio compie un esercizio abusivo della professione e ne risponde fino in fondo»; concetto ribadito anche da Maroni secondo il quale «la normativa vigente non consente l’uso dell’app Uber Pop».

Il caso non è affatto chiuso, sebbene Milano stia seguendo l’esempio di altre città, dove persino alcuni tribunali hanno dichiarato illegale il servizio. A mantenere aperta la discussione sono quelle migliaia di milanesi che continuano a fare il tifo per l’applicazione statunitense, e che a migliaia si sono spinti fino a sottoscrivere una petizione online dal titolo eloquente “Ferma le ingiustizie: Sostieni il servizio di Uber a Milano”.

Anche secondo Andrea Giuricin, docente di Mobility management all’Università di Milano Bicocca, esperto di trasporti e membro dell’Istituto Bruno Leoni, la “macchina” si è appena messa in moto e non basterà un tavolo istituzionale a fermarne la corsa: «Il problema non è Uber, ma come le “application” stanno cambiando il mondo dei trasporti locali. Anche una lobby forte come quella dei tassisti è messa in crisi dalla concorrenza».

Cosa pensa della decisione presa mercoledì dalle istituzioni?
L’Italia arriva dopo la regione di Bruxelles che ha vietato il servizio Uber dallo scorso aprile. Una analoga sentenza di condanna contro Uber è stata emessa dal tribunale di Berlino. A mio avviso però è chiaro che di fronte alle nuove tecnologie i vecchi monopolisti del trasporto, i tassisti, non sanno confrontarsi. Chi è abituato a una certa clientela chiaramente si trova in difficoltà.

I tassisti però obiettano – e il ministro Lupi dà loro ragione – che Uber Pop sia illegale in Italia, perché apre a un mercato di persone senza licenza.

Sicuramente c’è un problema di regolamentazione. Si deve riflettere su nuove norme e stabilirle. Ma il problema non è Uber. Pensiamo ad esempio ai servizi di car sharing. Oggi la tecnologia permette di usare le automobili molto di più e a costi più bassi proprio grazie a semplici app che consentono a chiunque di localizzarne una vicino casa e di noleggiarla a tariffe più convenienti di un taxi. Ecco perché un colosso come Mercedes, ad esempio, è entrato nel business del car sharing. Le auto a noleggio tra l’altro costano meno non solo dei taxi, ma anche dello stesso servizio Uber. Quest’ultimo ha prezzi del 20 per cento superiori ai taxi, eppure è apprezzato. Il fenomeno Uber insomma ci dice molte cose, e la prima di queste è che non se ne può più di un servizio taxi che funziona male. Uber offre al cliente un preventivo sicuro della corsa, fornisce dati specifici sull’identità del conducente e sulla “customer satisfaction” che è stato capace di raccogliere. Il risultato è che la qualità percepita del servizio risulta migliore di quella dei taxi.

Nei giorni scorsi tempi.it ha paragonato le tariffe dei taxi delle principali città europee e mondiali (vedi tabella), scoprendo che a Milano ci sono le più care, e questo malgrado i prezzi delle licenze siano alti anche altrove. Perché?
La tariffazione è un problema di regolamentazione. Un problema politico oserei dire: è il Comune che decide le tariffe, e la scelta dipende dalla capacità che ha la categoria di fare pressioni. I tassisti sono in grado di esercitare una forza tale sull’amministrazione locale da poter decidere in prima persona. A Roma per esempio i tassisti sono circa 7-8 mila, a livello elettorale sono visti come una risorsa, perciò già in passato il sindaco ha dovuto fare marcia indietro rispetto a decisioni già prese per andare loro incontro. In generale la categoria può contare su questo peso politico un po’ in tutta Italia.

Uno studio della Banca d’Italia sostiene che i taxi hanno tariffe così alte anche a causa del maggiore traffico nelle città italiane, dovuto alla scarsità dei servizi pubblici.
Sono d’accordo solo in parte. I mezzi pubblici a Milano non funzionano così male, si possono usare la metropolitana o il passante per spostarsi velocemente e a prezzi bassi. Il servizio taxi si rivolge a una clientela differente rispetto agli utilizzatori dei mezzi pubblici. Le tariffe, ripeto, sono piuttosto una scelta politica. I concorrenti dei tassisti oggi sono tutte le nuove tecnologie, da Uber al car sharing: è questo che deve far riflettere. Adesso la scelta è in mano ai Comuni.

Lei cosa suggerisce?
L’aumento delle licenze per esempio potrebbe permettere di migliorare la qualità del servizio, ma è pur vero che esiste un mercato nero delle licenze taxi, e un aumento svaluterebbe il loro valore a danno di chi ha sostenuto forti spese per aggiudicarsele. Le licenze a mio avviso però restano una rendita da monopolio che non dovrebbe esistere. Arrivare alla loro abolizione totale non credo sia possibile. Ma le app e la tecnologia in generale stanno rivoluzionando questo mercato monopolistico, sarà inevitabile farci i conti.

Da Tempi, 23 maggio 2014
Twitter: @andreagiuricin

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