28 Luglio 2025
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
In principio fu per pochi. Quella che ad esempio in Carlo Goldoni era chiamata “villeggiatura” riguardava essenzialmente gli aristocratici, che disponevano di una seconda abitazione fuori porta in cui recarsi per lo svago e per contrastare il caldo dei mesi estivi. In seguito, però, una serie di fattori (a partire dallo sviluppo del trasporto aereo) hanno creato il turismo di massa come lo conosciamo oggi.
Nel corso del Novecento un po’ alla volt a la scelta del protagonista di “Morte a Venezia” di Thomas Mann, che trascorre un paio di settimane all’Hotel des Bains del Lido, viene in qualche modo fatta propria anche dalla gente comune. Se inizialmente questa democratizzazione delle vacanze ha luogo grazie a scelte politiche come i treni popolari istituiti nel 1931 oppure le colonie per i ragazzi, in seguito ogni famiglia finisce per costruire la propria fuga dal mondo lavorativo ordinario, optando per le mete più diverse: dal mare alla montagna, alle città d’arte. Abbiamo iniziato a visitare il mondo e il resto del mondo ha iniziato a visitarci sempre di più.
“Grande Rimini”
Il risultato è che l’Italia è sempre più paese che vive di attività alberghiere, ristoranti, servizi ricreativi: in un certo senso, agli occhi di qualcuno, l’Italia starebbe trasformandosi in una “grande Rimini”. In effetti le attività turistiche hanno un peso crescente, coinvolgendo sia un gran numero di imprese, sia tanti soggetti che non operano professionalmente nel settore, ma ugualmente svolgono un ruolo importante: si pensi ai molti appartamenti affittati grazie a piattaforme come Airbnb.
Alcuni dati sono eloquenti. Nel 2024 il settore turistico ha generato il 10,8 %del PIL italiano, oltre a rappresentare circa il 13% dell’occupazione nazionale. Si tratta di cifre importanti che ci aiutano a capire come il turismo sia un settore particolarmente rilevante e come al tempo stesso da noi esso offra redditi inferiori a quelli della media (la percentuale degli occupati è superiore alla percentuale del Pil prodotto). C’è allora turismo e turismo, e su questo bisognerebbe riflettere un po’ di più di quanto non si faccia.
Prendere sul serio questo settore della vita economica significa prendere sul serio le esigenze di chi è pronto a investire per visitare Roma oppure passare qualche giorno sulle spiagge pugliesi e calabresi. In Italia però manca un’adeguata comprensione della posta in gioco: al contrario si tende a parlare di turismo evocando quella nozione di “overtourism” che enfatizza aspetti negativi connessi al fatto che un numero crescente di cinesi, russi, brasiliani ecc. desidera passare qualche giorno nelle nostre città, rendendo la vita difficile ai residenti.
Senza dubbio il turismo è un business con specificità tutte sue, che tra le altre cose ha creato dal nulla talune realtà urbanistiche: un caso trai tanti è Lignano Sabbiadoro. Se l’industria manifatturiera esige aree industriali e non di rado si accompagna a forme di inquinamento, quella turistica ridisegna il paesaggio e il volto delle città, spingendo verso l’alto i prezzi delle abitazioni. Si tratta però di sapere ricavare ciò i molti benefici che ne possono venire.
Se agire economicamente significa mettersi al servizio delle esigenze del pubblico, le trasformazioni in atto ci dicono molto in merito a quanto dovremmo fare per migliorare questo settore tanto cruciale. E allora urgente abbandonare una serie di pregiudizi contro il turismo e comprendere che ogni attività umana può essere condotta bene o male: vale per la finanza come per il tessile, per l’agricoltura come, appunto, per le attività ricettive. Bisogna allora che l’intero settore sia liberalizzato: con tutto quello che ne discende. Negli ultimi anni, ad esempio, la lobby degli albergatori ha sbarrato la strada all’utilizzo delle seconde case che, grazie agli affitti brevi, consente spesso di pernottare a prezzi contenuti. Il governo, su questo, deve essere chiaro.
Infrastrutture
C’è poi un problema di infrastrutture. A lungo si è pensato che una serie di ambiti dovessero essere di competenza pubblica o comunque gestiti da enti statali, ma questo ha impedito l’emergere di logiche competitive in grado di premiare i migliori. L’annosa vicenda delle concessioni balneari è lì ad attestare quanto la mano pubblica sia destinata a generare figli e figliastri, creando rendite parassitarie a scapito dell’offerta.
Per giunta, un’Italia che voglia investire nel turismo non può costringere a code lunghissime in attesa di un taxi, non può continuare ad avere trasporti locali tanto modesti, non può più per mettersi che larga parte del patrimonio artistico sia mal gestita da musei e altre istituzioni inefficienti.
Sotto vari punti di vista, per il suo particolare incrocio tra bellezza naturale e patrimonio storico-artistico, l’Italia gode di un vantaggio competitivo notevole su altre realtà. Siamo stati Grecia e Roma, Medioevo e Rinascimento, barocco e modernità. Questo passato può aiutarci a vivere il presente al meglio offrendo opportunità professionali e valorizzando quanto ci circonda. La stessa questione dello spopolamento dei piccoli comuni di quella parte d’Italia che è tanto lontana dai centri principali potrebbe trovare un suo tentativo di risposta in un turismo nuovo, in grado di valorizzare i borghi antichi e il loro fascino.
Qui come altrove, c’è l’assoluta esigenza di liberare le energie creative e stimolare nuove idee e iniziative.