Il problema del latte e la soluzione avariata

Il Governo sta dicendo a tutti gli agricoltori italiani che, se avranno problemi, Pantalone sarà lì pronto a saldare il conto

19 Febbraio 2019

IBL

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Con la loro protesta, i pastori sardi sono riusciti a riportare al centro del dibattito un tema comprensibilmente periferico, in una società dove il settore primario incide ormai per meno del 5% degli occupati.

Come è possibile che il mercato paghi il latte e i suoi derivati a un prezzo che non è neppure in grado di remunerare i costi di produzione?

Sei mesi fa il latte sardo veniva pagato ai produttori il 30% in più di quello che vale oggi. Il prezzo ha iniziato a calare da un anno: a fronte di una produzione molto abbondante, il calo delle esportazioni ha colpito i pastori nell’immaginazione e nel portafoglio.

C’è un che di paradossale, nella difficoltà di aggiustare domanda e volumi di produzione per quel che riguarda un prodotto che definire “maturo” è poco e che tutto è fuorché esposto ai marosi della “distruzione creatrice”. Non c’è nulla di paradossale, ma molto di antico, nella velocità con cui il governo italiano si è detto disposto a rispondere alla preoccupazioni degli allevatori della Sardegna.

Il ministro Centinaio, oltre a dichiarare la disponibilità di fondi, ha anticipato che il governo, tramite l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, promuoverà il prodotto «in giro per il mondo» per farlo «vendere il più possibile». Il governo non ha interesse ad aiutare l’offerta ad adeguarsi alla domanda: l’obiettivo è evitare che i pastori subiscano un qualsiasi aggiustamento. Nel mentre, per sostenere il prezzo, il ministero delle politiche agricole si è detto disponibile a rilevare quintali di formaggio.

Che acquisti le eccedenze o che direttamente imponga un prezzo di vendita del latte – cosa questa peraltro non consentita dalla legge – cambia poco. La strada presa dal governo è pericolosa.

In prima battuta, perché non consente ai pastori sardi di comprendere l’origine del problema e correggere le proprie decisioni di produzione. L’idea, al contrario, è che il problema non esista e l’approccio giusto sia contrastare in ogni modo il destino cinico e baro. I prezzi sono una componente essenziale di quel sistema di comunicazione che è il mercato: non sono giusti o sbagliati, non vanno sostenuti o corretti. Vanno letti, vanno interpretati. Alzandosi o abbassandosi, segnalano che qualcosa è cambiato: nelle tecniche di produzione, nelle preferenze dei consumatori, e via dicendo. Anche quando viene bloccato, per legge, “un” prezzo, non è possibile far lo stesso con tutti gli altri: coi prezzi degli strumenti che vengono utilizzati per produrre una certa merce, coi prezzi dei beni che possono potenzialmente sostituire quello calmierato. Si ragiona come se una produzione fosse un mondo a sé: cosa che, a tutti gli effetti, non può essere e non è. E’ improbabile che questo aiuti a rendere più efficienti i processi.

Se i pastori hanno prodotto “troppo” e hanno pertanto dovuto incassare prezzi al di sotto delle loro aspettative, non possono non riflettere su una programmazione che è risultata, ai loro stessi fini, sbagliata. Val la pena ricordare che i produttori di latte destinato alla produzione di pecorino romano e sardo non sono lasciati a se stessi, ma vengono già sorretti, aiutati, condizionati da sistemi consortili che sono lì anche per programmare quanto e come produrre nell’interesse di tutti i componenti della filiera. Se il governo acquista le eccedenze, produttori e trasformatori non avranno alcun interesse a cambiare il loro comportamento: si andrà avanti alla stessa maniera, nella certezza che l’anno prossimo, di nuovo, al momento del bisogno si potrà bussare alla porta del Ministro.

In seconda battuta, perché tranquillizza l’intero settore agricolo che a fronte di un problema di programmazione (o scarsa innovazione) lo Stato sarà in grado di somministrare una cura palliativa. In pratica, intervenendo a favore dei pastori sardi, il Governo sta dicendo anche agli agricoltori veneti, ai coltivatori siciliani, agli allevatori piemontesi che, se avranno problemi, Pantalone sarà lì pronto a saldare il conto. Con due vittime: i contribuenti italiani, ancora una volta chiamati alla nazionalizzazione delle perdite di alcune imprese; e gli agricoltori stessi, indotti a produrre beni per i quali non c’è domanda sufficiente e quindi spinti su una strada che, prima o poi, scopriranno essere un vicolo cieco.

20 febbraio 2019

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