Il peso del marketing legislativo

La politica dovrebbe iniziare ad avere una visione sulle poche cose di cui si deve occupare

10 Giugno 2024

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Come si fa a ridurre il diritto a marketing legislativo? Prendiamo il disegno di legge per la semplificazione normativa e il miglioramento della qualità della normazione approvato nel Consiglio dei ministri di questa settimana. La parte più rilevante della proposta è la valutazione di impatto generazionale delle leggi (Vig). Prima di questa, ci sono due esempi più scontati di marketing legislativo. Innanzitutto, la ripetizione di norme già in vigore. La proposta prevede l’obbligo di una legge annuale di semplificazione normativa. E dal 1997 che vige un identico impegno, adempiuto solo 4 volte in 27 anni. In secondo luogo, la proposta pare contenere una serie di deleghe per il riordino di alcuni settori. La norma più significativa della proposta, con un impatto cioè reale e immediato, è quella che introduce la Vig, una stima a scopo informativo dei costi ambientali o sociali ricadenti sui giovani e sulle generazioni future che il governo dovrà allegare ai disegni di legge. La Vig comporta due ordini di problemi.

Il primo riguarda gli effetti paradossali degli strumenti di analisi preventiva della regolazione. Come l’Air, che è stata introdotta con poca fortuna 20 anni fa, la Vig è una tecnica buona sulla carta. La politica, che tramite il Parlamento e il governo è titolare della funzione legislativa, fa questo, in fondo: pondera gli effetti, calibra i pesi, giunge a quella che ritiene sia la sintesi più opportuna. E una valutazione discrezionale. Gli strumenti di analisi preventiva rischiano di sostituire solo nella facciata tale valutazione discrezionale con il metodo scientifico. La differenza tra l’impatto stimato e quello effettivo sul bilancio dello Stato del superbonus ne è l’ultimo, eclatante esempio.

C’è poi un secondo problema. La Vig riguarderà solo gli effetti ambientali e sociali delle proposte, non quelli finanziari. In occasione della riforma costituzionale del 2012 sull’equilibrio di bilancio, si avanzò l’ipotesi di introdurre il principio di equità intergenerazionale. Quell’ipotesi venne scartata e approvata, anni dopo, solo con riferimento al diritto all’ambiente. In questo senso, la proposta del governo è coerente con l’idea che la responsabilità verso le generazioni future riguardi solo l’ambiente (o il sociale, qualsiasi cosa voglia dire), ma l’errore è a monte. Non c’è responsabilità degli adulti e futuro per i giovani in un paese le cui prospettive sociali e economiche sono soffocate dal debito pubblico. Non c’è patto tra generazioni che tenga se non si tiene conto anche della spesa pubblica, oltre che degli oneri ambientali e sociali. Per tornare all’esempio di prima, è probabile che i bonus edilizi sarebbero stati classificati come sostenibili dalla VIG, poiché di essi non si sarebbe dovuto valutare l’impatto sui conti. Anziché studiare il modo di rendere evidente ogni più piccolo particolare delle procedure, sarebbe meglio che la politica alzasse lo sguardo e provasse ad avere visione sulle poche cose di cui si deve occupare. Il debito pubblico, primo tra tutti.

oggi, 6 Dicembre 2024, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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