Il M5s e le coperture farlocche del reddito di cittadinanza

Per 780 euro ai “cittadini” Beppe Grillo vorrebbe affogare le banche e asfaltare le istituzioni, eppure non basterebbe

19 Maggio 2017

Il Foglio

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Tra il dire (reddito di cittadinanza) e il finanziare c’è di mezzo di mare del bilancio pubblico. Nel suo sforzo di accreditarsi come forza di governo, il Movimento 5 stelle presenterà domani ad Assisi la sua proposta per garantire a tutti i cittadini un reddito minimo pari a 780 euro. La novità è che i grillini hanno reso noto come intendono reperire le risorse necessarie, attraverso un piano di tagli da 21 miliardi di euro. Si tratta di una copertura in grado di passare il severo vaglio della Ragioneria generale dello stato? Spoiler: no.

In questo articolo non intendiamo mettere in discussione l’impianto della riforma – che ci pare comunque mal congegnata e distorsiva, perché funziona come un pesante disincentivo al lavoro e un forte sussidio all’ozio – né il calcolo della spesa necessaria a sostenerla. Vogliamo invece concentrarci sul conseguente equilibrio di finanza pubblica. Le potenziali coperture si possono dividere in due grandi categorie: alcune partite monstre e altre poste di ridotta entità. Nell’ordine, le une appaiono fumose e imprecise; le altre formalmente corrette ma ampiamente insufficienti. Inoltre molte voci sembrano sovrapporsi, generando un fenomeno di “double counting” di proporzioni rilevanti.

La voce in assoluto più pesante – pari a oltre un terzo dell’intero fabbisogno – è quella relativa all’eliminazione delle “tax expenditures”, che i grillini distinguono tra aumento delle imposte su banche e assicurazioni (stimate in 2 miliardi attraverso la riduzione della deducibilità degli interessi passivi) e agevolazioni relative all’Irpef, divise tra “riduzione delle detrazioni dei redditi più alti” ( 5 miliardi) e “revoca delle detrazioni dei redditi superiori a 90.000 euro” (300 milioni), che a rigor di logica appare un sottoinsieme della voce precedente.

Per quanto riguarda, specificamente, banche e assicurazioni, è abbastanza singolare voler appesantire in modo ingente il carico fiscale su questi soggetti in un momento di estrema difficoltà. Eliminare la deducibilità degli interessi passivi equivale a spingere oltre l’orlo del baratro gli istituti meno patrimonializzati. Appare davvero singolare una strategia che, fermi restando i dubbi sulla reale entità dell’agevolazione, andrebbe a sbattere contro l’inevitabile nazionalizzazione di banche grandi e piccole. Quello delle spese fiscali in generale è comunque un tema cruciale, sul quale il governo, che ne ha recentemente pubblicato un censimento (444 voci), avanza con estrema prudenza. Al contrario, il riferimento dei grillini è troppo generico per essere giudicato: intervenendo sulle tax expenditures si può ricavare molto di più o molto di meno, a seconda di quanta pressione politica da parte dei soggetti colpiti si intenda sostenere. Quindi, in assenza di informazioni più specifiche, cioè quali spese si intende tagliare e per chi, questa stima non vale la carta su cui è scritta: detta così, infatti, si potrebbe argomentare con uguale serietà che il potenziale gettito è compreso tra zero e più infinito.

Cinque miliardi dovrebbero arrivare da interventi, diciamo, peculiari. Uno sono i dividendi di Bankitalia (che nel 2016 ha versato 2,2 miliardi di euro allo stato e solo 340 milioni ad altri, che dunque potrebbero essere tagliati). Non è invece chiaro cosa si intenda con la proposta di tagli agli organi costituzionali: non solo essi godono dell’autodichia e sono già impegnati in un percorso autonomo di spending review, ma in ogni caso – anche volendoli abolire con un colpo di stato – il risparmio sarebbe di 500 milioni per il Senato (e uno!), un miliardo per la Camera (coppia!), 56 milioni per la Corte costituzionale (tris!), 224 milioni per il Quirinale (poker!). Nel complesso, il passaggio della democrazia rappresentativa a quella online eterodiretta via Rousseau darebbe ai seguaci di Beppe Grillo e della Casaleggio Associati un tesoretto di due miliardi mal contati.

Assumendo che non vogliano spingersi a tanto, e che si accontentino di dimezzare la spesa (!), la distanza per arrivare a 5 miliardi appare incolmabile. A dire il vero, il pacchetto prevede vari interventi sul fronte pensionistico, peraltro contati due volte perché un’altra voce punta a mettere le mani su 300 milioni di euro dalle pensioni d’oro. In nessun caso, però, si potrebbe arrivare alla scala reale da 5 miliardi: per confronto, il “piano Boeri” di ricalcolo delle pensioni superiori ai 3.500 euro lordi avrebbe determinato una minore spesa inferiore al miliardo di euro.
Un’altra voce rilevante è il taglio alla spesa della Pubblica amministrazione (2,5 miliardi). Anche qui, non è possibile dire se in astratto sia una valutazione credibile oppure no. Vogliamo dare però ai grillini il beneficio del dubbio, accogliendoli con piacere nel club dell’austerity.

Il M5s intende poi estrarre 1,5 miliardi dai “costi delle trivellazioni” tramite l’aumento dei “canoni alle multinazionali per l’attività di ricerca di gas e petrolio” (nell’attesa di vietarle, coerentemente con il loro programma energetico, si suppone). Questa è una copertura davvero stupefacente. Intanto presumiamo che ci si riferisca all’estrazione di idrocarburi, e non alla loro ricerca che, ovviamente, rappresenta un costo e non un ricavo per le imprese. Poi, notiamo che per le piccole imprese del settore petrolifero si prospetta un bengodi che neanche Sarah Palin (infatti le tasse le pagheranno solo le multinazionali). Da ultimo, facciamo notare che il gettito attuale delle royalties (che dipendono dalle quotazioni del petrolio) è pari, nel 2016, a 222 milioni, e nell’anno di picco (il 2013) a 420 milioni. Per traguardare un incremento del 575 per cento, bisogna dedurre che il Movimento voglia rilanciare lo sfruttamento delle risorse nazionali con un livello di ambizione mai vista. Da Movimento 5 stelle a Movimento 5 trivelle.

Un ulteriore miliardo dovrebbe arrivare dall’incremento della tassazione del gioco d’azzardo: misura, però, già prevista nell’ambito della “Manovrina” e dalla quale ci si aspetta un gettito aggiuntivo di circa 202 milioni di euro per il 2017.

Infine, i pentastellati intendono ricavare 1,5 miliardi di euro dalla soppressione del Fondo per il sostegno alla povertà, passando da una misura più selettiva a una meno e redistribuendo così dai poverissimi ai poveri-e-basta. In ogni caso, la dotazione del Fondo nel 2017 è inferiore e pari a 1,15 miliardi.

Anche gli interventi di media stazza appaiono discutibili. Dalla riduzione delle indennità dei parlamentari il M5s si aspetta di ottenere circa 600 milioni di euro: considerando che i parlamentari sono in tutto 950, farebbero 631 mila euro a testa, molto più di quanto essi guadagnino in un anno. In effetti, nel 2016 il monte salari dei senatori era di 42 milioni, quello dei deputati 115, per un totale di circa 157 milioni di euro se i nostri politici accettassero di lavorare gratis. Non poteva mancare l’evergreen soppressione degli enti inutili, ma l’unico citato è il Cnel (dal quale si potrebbero risparmiare al massimo 15 milioni euro) per la cui conservazione i grillini si sono mobilitati in massa il 4 dicembre 2016. Altre misure buone per tutte le stagioni sono le auto blu, le concessioni autostradali. Per concludere ci sono voci stimate accuratamente ma di modesta entità (i finanziamenti all’editoria per 23 milioni, il finanziamento pubblico ai partiti per una ventina).

Una curiosità: per risparmiare 29 milioni di euro, il M5s chiede di eliminare la tassa (sic) che lo Stato paga alle compagnie telefoniche per effettuare le intercettazioni. In realtà non si tratta di una tassa ma del corrispettivo di un servizio. Se è vero che la riduzione dei prezzi implica un aumento della domanda, dobbiamo aspettarci intercettazioni a gogò. Vuoi vedere che…?

Da Il Foglio, 19 maggio 2017

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