Il disastro venezuelano e gli abbagli occidentali

A Caracas ancor più che in Brasile o in Argentina, il fallimento del socialismo latinoamericano è palese

9 Giugno 2016

Il Corriere del Ticino

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nelle ultime settimane il Venezuela è entrato in una situazione sempre più terribile. Siamo ormai vicini a un’emergenza umanitaria, considerato che a dati macroeconomici paurosi (a partire da un’inflazione alle stelle) si affiancano condizioni di vita divenute difficilissime. A questo punto ci sarebbe bisogno di una mobilitazione internazionale. Le notizie provenienti dagli ospedali come ha spiegato Nicholas Casey su The New York Times parlano di un aumento della mortalità nei reparti di maternità, di antibiotici che scarseggiano, di seri problemi connessi alle interruzioni della fornitura di energia elettrica. Vi sono chirurghi costretti a lavorare senz’acqua, guanti e detergenti. Le code fuori dai negozi sono divenute un tratto caratteristico di questo Venezuela allo sfascio, in cui mancano anche la farina di riso e l’olio. L’elettricità è razionata e i dipendenti pubblici lavorano solo due giorni a settimana, perché lo Stato deve risparmiare sui consumi. Tutto ciò in un Paese che galleggia sul petrolio e che dovrebbe disporre, in teoria, di energia da vendere. Per giunta il Governo chavista nelle mani di Nicolas Maduro (succeduto a Hugo Chavez alla morte di quest’ultimo) non vuole ammettere l’ultima sconfitta elettorale e quindi si annuncia un duro conflitto che potrebbe pure sfociare in una guerra civile. La povertà crescente è insomma acuita da tensioni sociali e politiche, mentre l’opposizione ha raccolto quasi due milioni di firme e sta provando a destituire il presidente.

A Caracas ancor più che in Brasile o in Argentina, il fallimento del socialismo latinoamericano è palese. Molti venezuelani hanno certamente gravi responsabilità per quanto sta succedendo, poiché per anni hanno sostenuto un’ideologia che si è tradotta in dirigismo, controllo dei prezzi, nazionalizzazioni e massicce redistribuzioni. Il Venezuela non è vittima di un qualche disastro naturale, ma di un micidiale intreccio di ignoranza, odio di classe e spregiudicatezza politica. Lo stesso Occidente ha le sue colpe. Per molti europei il collettivismo venezuelano è stato a lungo un modello da imitare. Le politiche espropriatrici sono state spesso presentate come eque, solidali, in grado di favorire un nuovo modello di sviluppo.

Alla scomparsa di Chavez, l’attuale leader dei laburisti britannici Jeremy Corbyn ringraziò il caudillo sudamericano «per avere mostrato che i poveri contano e che la ricchezza può essere ridistribuita. Egli ha dato straordinari contributi al Venezuela al mondo intero». E in un articolo intitolato Grazie, Mr. Chavez lo stesso Corbyn cercò di negare il carattere autoritario del regime, usando come argomento che è una strana dittatura quella in cui l’opposizione è spesso in piazza a protestare. Non sono stati soltanto politici sempre alla ricerca del socialismo «che funziona» ad esaltare la rivoluzione bolivarista. È infatti significativo quanto ebbe a dichiarare nell’ottobre del 2007 l’economista americano Joseph Stiglitz, insignito del premio Nobel e già vicepresidente della Banca mondiale dal 1997 al 2000. Proprio a Caracas e in un convegno sponsorizzato dalla banca centrale venezuelana, Stiglitz arrivò a sostenere in un Paese che già stava precipitando verso l’abisso che «la crescita economica del Venezuela è stata impressionante» e che andavano apprezzate «le positive riforme nel campo dell’istruzione e della salute», dal momento che erano orientate a sconfiggere le diseguaglianze.

Come mai queste parole? È chiaro come da decenni larga parte del mondo di tradizione europea nutra un vero disprezzo per le istituzioni fondamentali (proprietà, contratto, libertà di iniziativa) che sono state alla base del suo successo epocale. È noto come la lista degli intellettuali occidentali che esaltarono l’Unione Sovietica è assai lunga: da Louis Aragon a Maurice Merleau-Ponty, da George Bernard Shaw a Ludwig Wittgenstein. Per non dimenticare che John Maynard Keynes, nella celebre prefazione all’edizione tedesca della Teoria generale del 1936 (scritta quando a Berlino era già al potere Adolf Hitler), sostenne che le sue tesi potevano essere adottate ovunque, ma si adattavano meglio a uno Stato totalitario che a una società pluralista e di mercato.

Di fronte al Venezuela larga parte dell’intellighenzia alla moda ha fatto il medesimo errore, illudendosi di avere trovato in Chavez un specie di Messia, capace di far coincidere giustizia ed eguaglianza, razionalità e pianificazione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e ora a patire le conseguenze peggiori, come sempre, sono i più deboli.

Da Il Corriere del Ticino, 9 giugno 2016

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