Il buon mercato

La grande lezione di Richard Cobden e la sua scuola di Manchester: meno politica e più libero scambio

9 Gennaio 2023

Il Foglio

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

“La scuola di Manchester”. E’ una formula che usa per la prima volta Benjamin Disraeli. Il governo del conservatore Sir Robert Peel ha cambiato posizione sui dazi sul grano, li sta per abolire. La peronospora della patata ha innescato quella carestia che, in Irlanda, costerà la vita a un milione di persone (su una popolazione di otto milioni). Peel si è andato avvicinando, nel corso degli anni, a posizioni più liberoscambiste. I partiti sono ancora coalizioni di interessi in cui contano poco programmi coerenti: negli anni Venti dell’ottocento, i Tory avevano ridotto le barriere doganali, tranne che in agricoltura. La loro base di consenso è la grande proprietà terriera. Proprietari terrieri sono, tutti o quasi, i loro parlamentari. Così, sulle granaglie è in vigore un dazio a scalare: l’obiettivo è quello di mantenere costanti prezzo e disponibilità, impedendo le importazioni di frumento se non si supera un certo prezzo per la produzione domestica. Di fatto, si getta sabbia negli ingranaggi del mercato. Il dramma irlandese impone un cambio di passo.

Disraeli, per quanto sia figlio di un letterato sefardita, sostiene che il suo cuore ha sempre battuto per gli interessi terrieri, i garanti della stabilità, valore quintessenzialmente conservatore. Davvero un governo espressione dell’antica sapienza politica dei Tory, insinua il futuro primo ministro, può piegarsi a un gruppo di ideologi?

Il gruppo di ideologi era appunto la “scuola di Manchester”, scuola senza cattedre, felicemente priva di credenziali accademiche, per giunta composta di parlamentari radicali che siedono sui banchi dell’opposizione, mal digeriti dagli stessi Whig. I suoi maggiori esponenti sono industriali che hanno fatto fortuna nel nord del paese. Creano il primo movimento grassroot della storia della democrazia, un’agitazione “dal basso” che si fa sentire dall’esterno del Parlamento. E’ un’organizzazione delle classi medie, che non ha la benedizione dell’aristocrazia e nemmeno la cerca. La Anti-Corn Law League si finanzia con donazioni private, organizza raduni di migliaia di persone, distribuisce la sua rivista in centinaia di migliaia di copie.

Il suo leader è un oratore anomalo. Richard Cobden è un eccentrico della politica. Dopo aver studiato, fino ai quindici anni, in un collegio del nord dello Yorkshire che somiglia più a una casa di correzione che a una scuola, comincia a lavorare come impiegato nel magazzino di uno zio. Il padre è poco tagliato per gli affari. La madre muore che Richard ha ventun anni, facendone di fatto il capo famiglia. E’ allora che un altro zio lo promuove a rappresentante di commercio. La mansione gli risulta congeniale. Scrive il suo biografo, John Morley: “L’aspetto che rendeva la vita da nomade così accettabile a Cobden era la gratificazione che offriva alla sua principale passione, ossia un insaziabile desiderio di conoscere come andava il mondo”. Quanti lo conobbero sono “d’accordo nel dire di non avere mai conosciuto una persona nella quale questo tratto, un solido e razionale desiderio di conoscere e apprendere, fosse altrettanto forte e inesauribile”.

Nel 1828, a ventiquattro anni, Cobden trova la sua strada di imprenditore. Con due soci, apre la sua azienda a Manchester, dove si trasferirà poi in pianta stabile. La città è “Cottonopolis”. Marcia come una locomotiva a vapore: fra la fine del Settecento e gli anni Trenta dell’ottocento, la popolazione urbana quintuplica, da 50 a 250 mila persone. A partire dagli anni Venti, circa la metà del valore di tutte le esportazioni inglesi era data da prodotti in cotone. Passano, tutti o quasi, da Manchester.

La ditta di Cobden opera in partnership con un’altra, più grande, che produce calicò, tessuti di cotone grezzo sui quali vengono impressi disegni e motivi particolari. Comprano pezze, le finiscono sulla base delle indicazioni di un magazzino a Londra e ne curano, per così dire, l’arrivo al dettaglio. Sono affari tutto fuorché facili: il mercato è fortemente concorrenziale e serve il naso del viaggiatore di commercio, l’attenzione alle mode. Tre anni dopo, Richard e soci cominciano anche a stampare direttamente calicò. Sono bravi. Spiega Anthony Howe, che ne ha ricostruito scrupolosamente corrispondenza e diari, che fra il 1832 e il 1839 Cobden diventa “uno dei più notevoli successi commerciali di Manchester”. Le cose gli vanno così bene che a trent’anni è finanziariamente indipendente e può occuparsi di politica, senza perdere il gusto di imparare viaggiando ma con mete diverse: Francia, Svizzera, Grecia, gli stati tedeschi, il Levante, poi gli Stati Uniti, dove arriva già persuaso che “gli americani sono il popolo migliore, perché hanno le istituzioni più libere”. Privo di istruzione universitaria e cresciuto lontano dai circuiti delle élite britanniche, Cobden ama apprendere, aprendosi con curiosità a culture diverse e lo fa leggendo con la passione divorante di un autodidatta. Ventenne, aveva sognato di fare il commediografo. Scriverà poi pamphlet politici.

“Aveva una capacità straordinariamente sviluppata di applicare il ragionamento alla politica concreta”, scriverà lo storico laburista A. J. P. Taylor, “e la sua caratteristica più saliente era quella di ‘rimanere equilibrato in un mondo impazzito’”. Il giovane Walter Bagehot, futuro leggendario direttore dell’Economist, assieme ad altri studenti “seguiva Cobden per tutta Londra per sentirlo parlare ogni volta che si trovava in città”. Cobden non aveva avuto la formazione tipica di un uomo politico inglese ed era sostanzialmente autodidatta. Ma Bagehot era certo che, se pure “l’oratoria di Cobden non aveva alcunché di classico”, “il più grande maestro dell’arte classica della retorica, Aristotele, avrebbe apprezzato i suoi discorsi”.

Questo ragionatore formidabile entra in Parlamento nel 1837 e nel corso di appena nove anni vede la sua causa trionfare, abbracciata da un governo apparentemente ostile. A cancellare le Corn Laws è il primo ministro Peel, che sacrifica al libero scambio l’unità del suo partito. I discorsi di Cobden erano la goccia che aveva perforato la pietra. La Anti-Corn Law League era nata a Manchester ma si era rapidamente espansa in tutto il paese. Il suo motto era: pane a buon mercato. Per gli avversari, i “capitalisti” di Manchester volevano ridurre la pressione per l’aumento dei salari, calmierando il prezzo del pane. Questi uomini d’impresa, che mai vorranno fare, se non il loro interesse?

Cobden i conti per sé a dire il vero li fa piuttosto male, la politica lo assorbe al punto da lasciare l’azienda al fratello, con esiti disastrosi. Dopo l’abolizione dei dazi sul grano, amici e ammiratori raccoglieranno per lui un’ingente somma, a mo’ di risarcimento per gli sfaceli privati che gli era valsa la devozione al bene pubblico. Per metà la userà per ricomprare la fattoria in cui era cresciuto, da cui la famiglia si era dovuta separare a causa di uno dei tanti rovesci assestati dal destino e per metà la investirà in azioni di una ferrovia americana. Ammiratore degli Stati Uniti, aveva intuito che c’era da far soldi, nel collegare un paese grande come un continente. Solo che la guerra civile taglia in due quel paese e con esso anche i binari che l’attraversano. Cobden non era granché più bravo, nell’arte difficile del calcolo politico. Si oppone con tutto se stesso alla guerra di Crimea e ci rimette il seggio. Era un uomo di princìpi e nelle sue battaglie a quelli si atteneva scrupolosamente.

Come entrava, l’interesse dei capitalisti, in quei princìpi? Cobden, Bright e buona parte dei loro sodali erano convinti che un mondo retto dalla logica delle convenienze sarebbe stato non solo più prospero, ma anche più giusto e pacifico di quello sino ad allora conosciuto. Il loro è un liberalismo venato di sentimenti “di classe”: si sentono sull’altro lato della barricata rispetto a un’aristocrazia che considera da sempre la politica come cosa sua e che fa del popolo carne da cannone in nome di vagheggiamenti dinastici o in nome di un’espansione territoriale da cui le persone comuni non guadagneranno nulla. Il sistema “protettivo” protegge i pochi a spese dei molti, è la causa dei conflitti e delle divisioni di classe: i consumatori che hanno bisogno del frumento e pagano il dazio, i produttori che dal dazio traggono beneficio. La “barbarie delle proibizioni commerciali vigenti nella patria di Adam Smith”, aveva notato vent’anni prima Benjamin Constant, tradisce “una cospirazione permanente della classe potente e ricca contro la classe povera e laboriosa”.

Liberiamo il campo dalle vecchie passioni aristocratiche e lasciamo spazio all’interesse. L’interesse di chi cerca di migliorare la propria situazione, allacciando relazioni di scambio con quante più persone possibili al mondo. Il libro di Cobden è La ricchezza delle nazioni: la divisione del lavoro è limitata dall’estensione del mercato. Allargando il circuito della cooperazione, coinvolgendo quante più persone e imprese possibili, si creano nuove opportunità di specializzazione. In England, Ireland and America (1835), Cobden (che all’epoca si firma “A Manchester manufacturer”) si domanda perché le grandi città dell’Inghilterra non abbiano “le loro società smithiane”, come hanno “la Società Banksiana o la Società Linneana”. Nelle nuove scienze destinate a cambiare il mondo c’è a buon diritto l’economia politica e dunque servono associazioni “dedite a diffondere le benefiche verità della Ricchezza delle nazioni”. E’ quel che farà la Anti-Corn Law League.

La logica delle convenienze supera i conflitti rinfocolati dalle ombre cinesi della politica. “Acquistare nel mercato più a buon mercato e vendere al prezzo più caro: qual è il significato di questa massima? Essa significa prendere il bene che avete in grande abbondanza e con esso ottenere da altri ciò che hanno in serbo da offrire; in questo modo, si danno alla specie umana i mezzi per godere della più piena abbondanza”. E’ un aspetto, questo, che Disraeli coglie benissimo. Criticando la scuola di Manchester, a quelli che vi si sono recentemente convertiti dice beffardo: guardate che Cobden e i suoi sostengono che ai dazi ostili di altri paesi si possa rispondere a suon d’importazioni libere. Che è come dire che Cobden e i suoi ritengono che l’economia andrebbe separata dalla politica: il protezionismo nuoce in prima battuta a chi lo pratica, perché implica un aggravio a spese dei consumatori, costretti a pagare di più per una certa merce in ragione di una tassa (altro il dazio non è). Che un sistema “protettivo” riesca o meno a infliggere un danno alle imprese di un altro paese, sicuramente danneggia i consumatori del paese “protezionista”, il quale altro non fa che spostare risorse dalle loro tasche a quelle di alcuni produttori coscientemente favoriti dai detentori pro tempore del potere politico.

La logica di Cobden riesce tutt’oggi impenetrabile alla politica. Pensiamo soltanto all’idea che, siccome gli Stati Uniti sussidiano una serie di produzioni per avvantaggiare i loro “campioni nazionali”, l’unione europea debba fare lo stesso. Al consumatore europeo (che acquisti beni di consumo o beni intermedi, poco cambia) magari conviene acquistare prodotti la cui realizzazione altri paesi hanno sussidiato: senz’altro gli nuoce che venga sussidiata questa o quella produzione europea. Ne ha un duplice danno: per farlo, gli vengono sottratti quattrini con le imposte, a vantaggio di merci in cui non necessariamente è interessato. Nel caso lo sia, dovrà pagare un prezzo artificialmente più elevato di quello che sarebbe emerso in una situazione di mercato.

Per una brevissima stagione, quegli anni Quaranta dell’ottocento in cui le parole di Cobden erodono idee e posizioni politiche consolidate, la logica delle convenienze sembra trionfare, perlomeno alla Camera dei Comuni. A Cobden ne viene una popolarità straordinaria. E’ acclamato in tutt’Europa, anche in Italia dove colleziona incontri al più alto livello, da Cavour a Pio IX, come l’uomo che da fuori il Parlamento ha saputo portare al suo interno una battaglia di giustizia.

Tutto questo va in frantumi con la guerra di Crimea. I ceti industriosi rinnegano la logica delle convenienze per seguire un abilissimo pifferaio della politica, Lord Palmerston. E’ il trionfo della logica del conflitto, del bisogno tutto politico di fabbricarsi nemici, a uso di questa o quella Nazione. Cobden accetta la sconfitta: non si può più ragionare, ammette il grande ragionatore, dopo il primo colpo di cannone, l’opinione pubblica (anche quella più informata, anche quella più colta, anche quella più liberale) gode nel perdere la testa.

Uomo di princìpi, Cobden è loro fedele nella cattiva sorte come in quella buona. Qualche anno dopo, con la complicità di William Gladstone, allora cancelliere dello scacchiere, andrà in Francia a negoziare un trattato commerciale con Napoleone III. La logica delle convenienze, degli scambi economici e culturali, forgia legami nuovi, più solidi, che vanno al di là della contingenza delle alleanze politiche. L’Inghilterra, che per anni aveva gettato quattrini in inutili fortificazioni contro l’invasione da sud, impara a fidarsi del suo dirimpettaio europeo. L’amicizia franco-inglese, che attraverserà tutto il Novecento, nasce con l’attivismo di Cobden.

Il 20 gennaio sarà in libreria per l’editore Rubbettino “Scritti e discorsi politici. Il libero scambio per la pace tra le nazioni” (318 pp.), la prima antologia in lingua italiana di scritti e discorsi politici di Richard Cobden curata da Alberto Mingardi. In appendice, il discorso che Cobden tenne all’accademia dei Georgofili nel 1848: una delle molte tappe del suo “tour” italiano.

da Il Foglio, 7 gennaio 2023

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