Prepariamoci a sorseggiare un Old Fashioned o un Manhattan più cari perché il bourbon è tra gli alcolici che con i dazi potrebbero costare di più; a pagare un’auto elettrica come la Tesla più di prima; a vedere aumentare le tariffe dei biglietti aerei perché le compagnie dovranno spendere più dollari per acquistare i pezzi di ricambio dalla Boeing. Ma è molto lunga la lista dei prodotti made in Usa che potrebbero essere investiti dai controdazi dell’Ue in risposta alla stangata del 30 per cento annunciata per il primo agosto da Trump.
Spiega il professor Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni: «Il primo conto sarà a carico del consumatore italiano ed europeo così come avverrà negli Stati Uniti per quello americano. I dazi sono tasse. E sarà sulle cose che non vediamo che pagheremo di più. Se fossero solo il vino californiano, le Harley Davidson o le Tesla sarebbe tutto sommato semplice. Il guaio di questa incertezza è un altro: ormai il prodotto americano o il prodotto italiano di fatto non esistono più, fatta eccezione ovviamente del vino, del formaggio o della grappa, perché è l’esito di una catena di cooperazione molto vasta. Aumenti i dazi su una cosa che ti sembra non abbia nulla a che vedere con alcuni prodotti, ma tra sei mesi ti ritrovi con il prezzo totale più alto perché il collegamento c’era». Secondo alcune stime l’incremento del prezzo finale per il consumatore europeo oscillerà tra il 5 e il 20 per cento alla cassa.
QUANTO CI COSTA L’AUTOMOBILE
Ci sarà un paradosso con la risposta europea alle tariffe della Casa Bianca: festeggeranno i produttori cinesi di auto che stanno aggredendo il nostro mercato (anche se già colpiti dai dazi europei, ricordiamolo). Un esempio: la Tesla che, malgrado la frenata nel 2025, è comunque uno dei brand più popolari in Europa. I dazi possono portare a un aumento del prezzo finale anche del 30 per cento, ma con un doppio binario. In linea teorica la Model Y, prodotta in Germania, si salverà, la S, la X e la 3 no. A sorridere potrebbe essere BYD, colosso cinese che, nonostante i dazi europei già in vigore, sta dilagando in Europa.
ALCOLICI E SNACK USA
«Si ricorderà – spiega il professor Mingardi – che il bourbon americano fu già colpito dai dazi in risposta a misure analoghe di Trump durante il primo mandato». Sul fronte dei generi alimentari, l’elenco Ue include pesce, crostacei, formaggi, patate, per fare alcuni esempi, ma non sono prodotti per i quali l’Italia guarda intensamente all’America. Discorso differente per prodotti lavorati a base di zucchero, cioccolato, snack o cereali per la colazione, ma anche a bevande che arrivano direttamente dagli Usa (non quelle come la Coca-Cola realizzate nei paesi in cui si commercializza).
SMARTPHONE, CLOUD E SOFTWARE
«Certo – ricorda il professor Mingardi – l’iPhone viene assemblato in Cina o in India, ma a tutti gli effetti è un prodotto di importazione americano. Ma non soffermiamoci solo su questo: pensiamo a Microsoft e al pacchetto Office. Alcuni software rappresentano l’esempio di un problema di cui l’Europa deve tenere conto: non ha alternative». Per il momento non sono nella lista europea, ma se si andasse alla guerra… Apple rischierebbe di diventare più cara: ipotetici dazi sul device, ma anche sui servizi digitali. Altra incognita: le imprese che anche in Italia dipendono da servizi di cloud quasi sempre americani che fanno capo ad Amazon o Microsoft. Le tariffe, in una ipotetica escalation, renderebbero più alto il costo finale. «La verità – dice Mingardi è che alla fine i dazi, ma anche i controdazi, nel breve e medio termine frenano l’economia e colpiscono i consumatori».
VOLI, SNEAKERS E BLUE JEANS
Se davvero sarà colpita Boeing, soprattutto per la parte che riguarda l’importazione dei pezzi di ricambio, aumenteranno le tariffe aeree, visto che una parte consistente delle compagnie ha una flotta composta in parte o addirittura totalmente (esempio Ryanair) di aerei prodotti a Seattle. Ricorda Mingardi: «In teoria esiste un’alternativa, l’europea Airbus. Ma è un settore con tempi e numeri in cui è impensabile aumentare la produzione in poco tempo». Dalle sneakers di Nike e Converse all’abbigliamento casual di Levi’s quando ci vestiamo c’è ancora molta America nei nostri armadi. In un’economia globalizzata quasi tutto viene prodotto in Vietnam, Cina o Bangladesh, per cui comprendere in che misura pagheremo di più i jeans o le scarpe per giocare a basket, in caso di controdazi, è un rompicapo.