I mille giorni di Meloni

Austerità, Ucraina, Israele, ma anche culture war, riforme, industria ed energia: cosa resta dei primi mille giorni del governo Meloni?

18 Luglio 2025

Il Foglio

Nicola Rossi

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

L’austerità presentata come stabilità, geniale. La difesa dell’Ucraina e l’appoggio a Israele, perfetti. Ma ci sono anche le culture war alle vongole e le riforme lasciate fogli mal scritti. E l’immobilismo su industria ed energia. Girotondo fogliante

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Conti in ordine, ora serve visione sull’iniziativa privata

Per molti motivi il giro di boa della legislatura è il momento meno indicato per un bilancio dell’attività di governo. Alle spalle vi sono i mesi iniziali della legislatura. Difficili per qualunque maggioranza e, in particolare, per maggioranze poco avvezze alla gestione del potere. Di fronte, in prospettiva, cominciano a intravedersi le nuove scadenze elettorali. Non sono rari i casi di bilanci intermedi vanificati dall’ansia di dover mantenere comunque le promesse elettorali.Mille giorni sono però sufficienti per capire se, e fino a che punto, l’inversione di tendenza presente nelle scelte degli elettori nel 2022 sia stata effettivamente tale. Lo è stata certamente nella gestione della finanza pubblica. Ad anni, se non a lustri, di scelte irresponsabili intervallate da brevi periodi di disciplina tanto forzata quanto attribuita ad agenti esterni (l’Europa, i mercati, etc.) hanno fatto seguito, a partire dal 2022, politiche di bilancio ordinate e disciplinate, di cui si è non solo rivendicata la paternità ma di cui oggi possono essere esibiti con soddisfazione i frutti.

Sotto questo aspetto l’inversione di tendenza non poteva essere più netta, tanto più in un paese in cui la cultura economica è ancora, in larga misura, quella del binomio “più tasse, più spesa” e, comunque, più debito. E, si noti, “facendo meno” non si è necessariamente rinunciato a “fare meglio” come testimoniano gli sforzi per dare concretezza ad un Piano nazionale di ripresa e resilienza mal disegnato inizialmente a Bruxelles nel 2020 e ancor peggio declinato a Roma nel 2021. O, per fare un secondo esempio, come lasciano supporre i progressi in materia fiscale.

Una cultura capace di porre limiti alla capacità di intermediazione dello Stato è, però, incompleta se non accompagnata da una altrettanto determinata e condivisa – e non solo verbalmente – creazione delle condizioni per la piena operatività dell’iniziativa privata. Sotto questo profilo i limiti, più che dell’azione, della visione dell’attuale maggioranza sono ad oggi visibili e resi evidenti dalla frammentazione delle competenze in materia (in netto contrasto con quanto accade in materia di politiche di bilancio). 

Per quanto si tratti di comparazioni di valenza estiva e di portata limitata (e ci perdoneranno i diretti interessati), qualcosa vorrà pur dire se googlando il binomio “Zangrillo – concorsi” si ottengono oltre 64 mila risultati, contro i meno di 30 mila risultati corrispondenti al binomio “Zangrillo – semplificazione”. O se l’accoppiata “Urso – intervento pubblico” porta a 160 mila risultati contro i 76 mila della coppia “Urso – iniziativa privata”.

Le inversioni di tendenza parziali non vengono percepite come tali. E sono spesso controproducenti. Creare spazi che il settore privato vorrebbe e saprebbe utilizzare deve accompagnarsi ad una contestuale creazione delle condizioni perché siano effettivamente e facilmente utilizzati. Tanto più in un contesto politico in cui il tema sembra essere lontano mille miglia dai pensieri dell’opposizione.

Nicola Rossi

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Merito a Giorgetti, ma prima o poi si dovrà pensare alla concorrenza

Il governo Meloni è tra i cinque più lunghi della storia repubblicana e con ogni probabilità arriverà almeno a essere tra i primi tre. La durata non è di per sé un merito, ma dalla lettura complessiva della storia dei governi e della continua ricerca di stabilità attraverso riforme mai compiute, si comprende che la capacità di mantenere il timone è un vanto che può arrogarsi da sola l’attuale presidente del Consiglio, con l’aiuto di pochi ministri di peso come Crosetto e Giorgetti. Occorre riconoscerle capacità di leadership all’interno, con la quale tiene a bada non solo i ben celati conflitti interni alla maggioranza, ma soprattutto i più delicati dossier. Per fare solo tre esempi, dalla condanna di Delmastro al caso Almasri alla goffa vicenda Sangiuliano. A lei si deve anche una capacità di trasformismo all’esterno, grazie alla quale l’incoerenza politica è persino ritenuta una virtù nello scenario europeo e internazionale.Quanto l’uno e l’altro talento possano durare dipende da due circostanze lontane: l’apertura della premier a una cerchia dirigente più allargata rispetto ai fidatissimi e sodali di partito (e famiglia), e – all’opposto – il risveglio di una opposizione espressiva di alcunché, la cui condizione attuale si riflette sulla difficoltà di garantire una pubblica opinione informata e attenta più ai fatti che a come vengono presentati. 

Diverso è poi giudicare il governo per quello che in questi mille giorni ha fatto di buono o cattivo. Chi scrive, lo fa da una prospettiva autenticamente liberale, dove buono equivale alla consapevolezza del governo dei propri limiti e quindi alla fuga dalle facili promesse e spese e dall’imposizione della propria visione del mondo sulla società e sui cittadini. 

Sul senso del limite, al ministro Giorgetti va dato atto di un impegno isolato e doppiamente meritorio – date le sirene di cui è circondato – per la sostenibilità di bilancio, pari forse solo all’impegno profuso dal governo Monti. Quanto alla visione del mondo, invece, i mille giorni di governo sono costellati non solo da un’idea conservatrice della società e dei diritti individuali (temi etici e immigrazione), ma – ancor più profondamente – dell’economia e delle energie che la animano. La concorrenza e la crescita economica, nonostante le apparenze, non sono tra i primi pensieri di questo esecutivo. 

Domani che l’ebbrezza del Pnrr sarà passata, questa dimenticanza diventerà un problema per un governo destinato a durare.

Serena Sileoni

oggi, 19 Luglio 2025, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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