I guasti istituzionali dell'Ue

Se continuerà a inseguire il suo progetto istituzionale accentratore il prestigio che le resta può solo declinare

21 Dicembre 2022

Corriere del Ticino

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Politiche pubbliche

Lo scandalo che ha investito il Parlamento europeo ha riacceso i riflettori sull’Unione e sul progetto di istituzioni continentali che si espandano progressivamente a scapito degli Stati nazionali. Al di là dei comportamenti dei singoli, che dovranno essere valutati in sede giudiziaria e su cui non è opportuno esprimersi ora, i fatti di cronaca devono portare a riflettere sui limiti strutturali di un’entità politica, la UE, che presenta tratti assai peculiari.

È del tutto evidente, infatti, che l’Unione non è uno Stato in senso classico, eppure essa cerca di replicare a livello continentale quanto gli Stati moderni hanno elaborato nei cinque secoli della loro storia. E così abbiamo un Parlamento, una sorta di «governo» (la Commissione), una moneta comune a corso legale, una Corte di giustizia, un Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza che si comporta come un ministro degli Esteri. 

In definitiva, l’Europa s’immagina come uno Stato in fieri, destinato a fondere prima o poi quelle che oggi sono 27 entità statuali separate. Quanti sognano gli Stati Uniti d’Europa auspicano proprio che anche il vecchio continente realizzi un’unità analoga a quella che s’impose oltre Atlantico all’indomani della sconfitta della confederazione sudista da parte dell’esercito di Lincoln. Tale direzione, però, comporta rischi cruciali, che andrebbero considerati con attenzione. 

L’Europa è certamente unita sul piano culturale, da tanti punti di vista, ma egualmente non si tratta di una comunità in senso stretto, dato che danesi e portoghesi, greci e francesi, non partecipano all’elaborazione di una comune opinione pubblica. Se l’Unione è spesso avvertita come lontana e ben poco interessante, uno dei motivi è proprio da rinvenire nel suo essere una somma di entità separate, che non possono dimenticare gli interessi e le esigenze delle diverse nazioni. Da qui deriva anche la diffusa percezione della UE quale apparato burocratico autoreferenziale e del tutto sganciato dalle società che compongono l’Unione. 

Nella percezione di molti, una vera «cittadinanza europea» è qualcosa che può riguardare una ristretta élite (politica, economica, culturale), ma che esclude per forza di cose la maggior parte dei popoli. Certamente a Bruxelles vi sono funzionari ed esperti che si sentono davvero europei, ossia lontani dalle loro origini nazionali, ma non è questo il comune sentire dell’uomo della strada. 

Unendo realismo politico e senso di responsabilità, bisognerebbe allora immaginare una prospettiva molto più confederale che federale: un’alleanza tra entità distinte che metta assieme soltanto quello che veramente va condiviso, ma che al tempo stesso lasci la maggior parte dei temi in gestione agli Stati nazionali e soprattutto alle comunità locali (le più vicine al cittadino). L’esperienza storica della Svizzera mostra proprio come la cittadinanza sia forte quando è realmente possibile essere attivi nel proprio comune e nel proprio cantone: dove si vive e dove si possono incontrare gli altri, confrontando opinioni e punti di vista. 

Entro una simile prospettiva, anche la corruzione può essere meglio contrastata. Ovunque vi siano regolazione e spesa pubblica, ci può essere chi usa di questo potere per accumulare ricchezze illecite. Questo, però, è meno facile quando le scelte hanno luogo sotto gli occhi dei propri concittadini, e non in palazzi lontani. Siccome l’accentramento del potere accelera la degenerazione della politica, anche da questo punto di vista l’Europa ha soltanto da guadagnare da una localizzazione delle decisioni.

Al giorno d’oggi l’Unione è assai contestata in molti dei Paesi membri, ma se essa continuerà a inseguire il suo progetto istituzionale di carattere accentratore il prestigio residuo che le resta può solo ulteriormente declinare. 

dal Corriere del Ticino, 21 dicembre 2022

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