Fondi Pnrr: vanno spesi subito

Intervista a Nicola Rossi: coi tassi in aumento l'Italia ha una disperata necessità di crescere significativamente

20 Aprile 2022

Italia Oggi

Argomenti / Politiche pubbliche

Le stime sulla crescita dell’economia italiana sono realistiche solo con una guerra di breve durata. Se questo non sarà, «dovremmo prepararci ad immaginare ritmi molto più blandi e, nel peggiore dei casi, addirittura negativi» per il Pil, dice Nicola Rossi, economista dell’Università Tor Vergata, già parlamentare del Pd e presidente dell’Istituto di ricerca Bruno Leoni. In queste ore il Def, il documento di programmazione economica e finanziaria per il 2022, approderà in aula alla Camera per il primo via libera. La previsione di crescita del Pil nel 2022 è stata tagliata dal governo al 2,9% per il 2022, al 2,3% per il 2023.

Un ritorno a tassi di interesse più alti da parte della Bce, ragiona Rossi, in questo scenario è inevitabile e «produrrà un aumento dell’onere del debito pubblico. Con un debito pubblico significativo sulle spalle, e che oltretutto ci costerà nel tempo più di quanto non ci scosti oggi, abbiamo disperata necessità di crescere significativamente. Se i fondi del Pnrr non verranno spesi in maniera efficace ed efficiente ci ritroveremo nell’angolo». Un Recovery di guerra? «Non potrà riguardare l’Italia».

Domanda. Per gli industriali servirebbe una risposta più robusta e duratura di quella delineata dal governo con il Def, per i sindacati quella di Draghi è una visione parziale del problemi acuiti dalla guerra in Ucraina. Come mai così tanta distanza tra esecutivo e parti sociali?
Risposta. Le valutazioni contenute nel Documento di Economia e Finanza andrebbero lette congiuntamente con quelle contenute nel Bollettino Economico della Banca d’Italia reso pubblico in questi giorni. Se lo facessimo, comprenderemmo che un tasso di crescita vicino al 3% nel 2022 e di poco superiore al 2% nel 2023 possono essere ipotizzati solo se si immagina che il conflitto ucraino abbia una breve durata ed una soluzione accettabile per le parti in causa, tali da ripristinare rapidamente la normalità.

D. E se questo scenario non si dovesse realizzare?
R. Allora dovremmo prepararci ad immaginare ritmi di crescita molto più blandi e, nel peggiore dei casi, addirittura negativi. Mi auguro di sbagliare ma ho l’impressione che, quand’anche le armi si fermassero in tempi brevi, cosa di cui non siamo affatto sicuri, gli strascichi del conflitto permarrebbero a lungo e non sarebbero facili da superare.

D. Quanto pesa il dossier energia sulle prospettiva di crescita?

R. Tantissimo. In questo contesto, la scelta più incisiva che il Governo poteva fare ed ha fatto è quella di muoversi in tutte le direzioni per limitare il nostro grado di dipendenza dalle fonti energetiche russe. Questo dovrebbe essere oggi il nostro obbiettivo primario, a tutela delle famiglie ed imprese. E prima di protestare per le bollette molti italiani, fra cui qualche presidente di Regione, dovrebbero domandarsi perché mai qualche tempo fa si sono schierati contro il TAP, contro questo o quell’impianto fotovoltaico o eolico. E molti altri dovrebbero domandarsi se il no al nucleare era poi così ragionevole. È evidente che si pone un problema di transizione fra la situazione attuale e una situazione di piena indipendenza energetica, ma prima di stabilire come vogliamo arrivarci dobbiamo sapere e condividere dove stiamo andando.

D. Per un intervento più robusto a sostegno di imprese e famiglie serve uno scostamento di bilancio? E in una fase come questa è saggio fare nuovo debito?
R. Questo è il punto più rilevante che mette a nudo tutte le nostre debolezze. A settembre, a fronte di un quadro macroeconomico tutto sommato confortante, si immaginavano politiche espansive tali da spostare più in alto di circa mezzo punto il tasso di crescita del prodotto interno lordo. Perché – è opportuno ricordarlo – l’idea, francamente bizzarra, era che bisognasse recuperare non solo il terreno perso rispetto all’anno pre-pandemia, il 2019, ma anche il terreno che ipoteticamente avremmo guadagnato negli anni della pandemia se questa non ci fosse stata. E – se ricordo bene – una parte del sindacato avrebbe voluto anche di più.

D. E oggi?
R. Oggi, in un contesto in cui le aspettative di crescita non possono che essere significativamente riviste al ribasso, si ipotizza che gli spazi per una politica fiscale espansiva si siano anch’essi visibilmente ridotti tanto da non consentirci altro se non un effetto sulla crescita attesa non superiore ai due decimi di punto. Il tema qui non è quello della intonazione della politica fiscale – che per la politica italiana conosce da sempre solo una connotazione: quella espansiva – quanto quello della sua natura regolarmente pro-ciclica.

D. Quindi?
R. Detto in altri termini, ammesso e non concesso che vi sia una qualche utilità nella gestione minuto per minuto in chiave anti-ciclica della politica fiscale, l’Italia non è in grado di praticarla. E ciò per la condizione cronicamente pericolante della nostra finanza pubblica e per la nostra pervicace attitudine a rifiutare l’idea che i giorni di sole vadano utilizzati per prepararsi ai giorni di pioggia o di grandine.

D. Senza scostamento, trovare nuove risorse significherebbe tagliare la spesa corrente.
R. Ovviamente, se si fosse impostata per tempo una seria spending review oggi saremmo forse in condizioni migliori ma visibilmente questo non è accaduto, se non in termini trascurabili. Durante la pandemia la spesa è cresciuta in maniera significativa e non poteva che essere così. Oggi che la pandemia è, auspicabilmente, non passata del tutto ma certamente ridimensionata dovremmo domandarci se quella spesa aggiuntiva ha ancora, in tutto o in parte, ragione di esistere.

D. Secondo il suo osservatorio, siamo in recessione?
R. Tecnicamente, per quanto riguarda l’Italia, non ancora. Ma, appunto, non ancora. Non si può escludere che di recessione si debba cominciare a parlare fra qualche settimana o mese.

D. L’inflazione che ruolo gioca?
R. Per prima cosa sarebbe opportuno un po’ di realismo. Nel giro di settimane siamo passati, per alcuni, da una inflazione che non c’è ad una inflazione temporanea. Solo oggi si riconosce che c’è una discreta probabilità che il fenomeno si sia già radicato e che di conseguenza ci aspettano anni in cui ci troveremo di fronte ad una inflazione forse meno sostenuta di oggi ma comunque lontana dallo zero o addirittura dai valori negativi temuti nel recente passato.

D. Come peserà sulle politiche della Bce?

R. Mi aspetto che – come la Federal Reserve sta già facendo – anche la Banca Centrale Europea ne prenda rapidamente atto e che di conseguenza il rischio torni, in tempi ragionevolmente brevi, ad essere prezzato correttamente. Tutto ciò avrà delle conseguenze per l’Italia. Un ritorno dei tassi di interesse più alti infatti produrrà un aumento dell’onere del debito pubblico. Con un debito pubblico significativo sulle spalle, e che oltretutto ci costerà nel tempo più di quanto non ci scosti oggi, abbiamo disperata necessità di crescere significativamente. Se i fondi del Pnrr non verranno spesi in maniera efficace ed efficiente ci ritroveremo nell’angolo.

D. Molti analisti sostengono che sarebbe opportuno, per spendere bene i soldi del Pnrr, chiedere a Bruxelles una deroga sui tempi di attuazione dei progetti.
R. Di rinvii ne abbiamo avuti già troppi e non è quello che ci serve soprattutto in questa fase. Abbiamo bisogno di spendere presto e bene i fondi per avere una diversa e più sostenuta capacità di crescita.

D. Non c’è il rischio che si ingenerino anche extra profitti? Come evitarlo?
R. Salvo il caso di abusi – e in quel caso gli strumenti opportuni dovrebbero già esistere – che cosa siano esattamente gli extraprofitti non è poi così chiaro. Per fare solo un esempio, molti operatori lavorano sulla base di contratti a lungo termine a prezzi dati. In questi casi il vantaggio derivante da un rialzo improvviso dei prezzi non va a beneficio dell’operatore.
Per fare un secondo esempio, molti operatori hanno lavorato in passato con prezzi all’ingrosso pari ad una frazione di quelli attuali. Su quale intervallo temporale calcoliamo gli extraprofitti? E tralascio l’argomento forse più rilevante: le regole che cambiano continuamente anche di fronte ad eventi che sono il frutto di dinamiche di mercato e non altro. L’augurio è che il prelievo sui cosiddetti extraprofitti sia un evento temporaneo da accantonare rapidamente.

D. Per tutelare le famiglie, è pensabile agganciare i salari al tasso di inflazione?
R. Abbiamo la memoria molto corta. Quando lo abbiamo fatto, ci abbiamo messo poi dieci anni a venirne fuori. E con molta fatica. Mi auguro che nessuno, ma proprio nessuno, coltivi idee del genere.

D. È stata avanzata l’ipotesi di un Recovery di guerra per sostenere l’economia dell’eurozona. L’Italia se lo può permettere?
R. Non mi sembra che l’ipotesi abbia trovato ampia condivisione in sede europea. E soprattutto temo che la cosa possa finire per non riguardare l’Italia. Mi spiego, se si immagina – come si dice – che al cosiddetto “recovery di guerra” vengano destinate le risorse non utilizzate del programma Next Generation Europe, bisogna allora ricordare che l’Italia di quei fondi si è proposta di utilizzare tutto ciò che era possibile utilizzare. Siamo così certi che ci verrebbe consentito di attingere ad altre risorse?
Ancora una volta abbiamo preso tutto quel che potevamo senza pensare che c’è un domani. Continuo a pensare che non dovevamo farlo e quel che accade, purtroppo, mi fa pensare che non sbagliavo.

da Italia Oggi, 20 aprile 2022

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