Vedere l’Italia collocarsi significativamente al di sopra della media tanto dell’Unione Europea quanto dell’Eurozona in materia di pressione fiscale non può non fare una certa impressione. Solo trent’anni fa, quando l’euro era ancora una aspirazione, l’Italia si collocava, marginalmente, se si vuole, ma al di sotto della media europea. Collocarsi in questa prospettiva è forse altrettanto interessante che non commentare l’ultimo dato disponibile (una operazione, peraltro, a rischio stante la tendenza delle revisioni del dato sul prodotto interno lordo a rivalutare sistematicamente il dato stesso).
Ciò, naturalmente, non significa sottovalutare i tanti fattori che anno dopo anno intervengono a determinare la pressione fiscale ma consente di notare come, dopo il repentino aggiustamento successivo alla crisi dei debiti sovrani, la pressione fiscale si è collocata su un livello medio di circa due punti percentuali superiore a quello osservato nel precedente quindicennio. In breve, dall’inizio degli anni ’10 l’Italia sembrerebbe essersi chiaramente collocata su un nuovo e più elevato plateau.
La relazione 2025 sull’economia non osservata e l’evasione fiscale evidenzia con una certa chiarezza il trend decrescente della evasione fiscale, in particolare a partire dai primi anni ’10 del secolo. Stante l’entità della quota della evasione fiscale e contributiva sul prodotto interno lordo nella media dell’ultimo quindicennio (prossima ai sei punti percentuali) e pur tenendo conto della contestuale ma meno significativa contrazione dell’economia sommersa, è difficile quindi non immaginare che è alla attività di contrasto all’evasione che bisognerebbe guardare per comprendere il salto in alto della pressione fiscale registrato nell’ultimo quindicennio.
In questa prospettiva, l’attività di contrasto all’evasione non va intesa in senso stretto (e limitata quindi al solo recupero, più o meno coattivo, derivante dall’attività dell’agenzia delle Entrate) ma, al contrario, va allargata fino a ricomprendere i mutamenti nei comportamenti dei contribuenti indotti, per esempio, dalla consapevolezza di una diversa efficacia ed efficienza della amministrazione fiscale conseguente, in particolare, alla ampia diffusione dei processi di digitalizzazione.
Il recupero di gettito così intervenuto non può, inoltre, essere confuso con le risorse che di anno in anno affluiscono al Fondo per la riduzione della pressione fiscale. Risorse da sempre valutate molto prudenzialmente e che solo dal 2022 fanno riferimento all’eventuale accresciuto adempimento spontaneo.
Tutto ciò segnala che il dibattito sulle determinanti degli andamenti più recenti della pressione fiscale andrebbe, con ogni probabilità, collocato in un quadro più ampio segnato da un innalzamento strutturale della pressione fiscale. Il che a sua volta pone alle forze politiche di questo paese un obiettivo assai più ambizioso di quello, peraltro legittimo e, a quanto pare, già conseguito, di un recupero del drenaggio fiscale.
Se le precedenti considerazioni hanno un fondamento, si tratta infatti di proporsi per la prossima legislatura di restituire ai contribuenti leali – per chiarezza, a tutti i contribuenti leali – il gettito aggiuntivo maturato nel corso di quest’ultimo quindicennio.
Ciò, ovviamente, non poteva avvenire nella legislatura in corso meritoriamente dedicata al riequilibrio dei conti pubblici e al ripristino della affidabilità del nostro debito sovrano. Ma, usciti dalla procedura di infrazione e portato a conclusione l’iter della delega fiscale, il tema del riequilibrio dell’onere tributario dovrebbe essere ineludibile.