Fiscalità e istruzione, ecco i fattori del declino

Molti pensano che l'università e trovare poi un lavoro coerente con la laurea ottenuta sia un diritto. Ma non è così

4 Gennaio 2023

Formiche

Nicola Rossi

Argomenti / Politiche pubbliche

Il sistema fiscale italiano è stato oggetto, negli ultimi anni, degli interventi più disparati ed estemporanei. La cui natura episodica frutto dell’approssimazione e della superficialità ha contribuito a rendere il sistema fiscale quello che oggi è un sistema incomprensibile e ingestibile. In questo caso, prima di pensare a questo o a quel contribuente bisognerebbe valutare il sistema in quanto tale: il fatto che esso è attualmente una rara combinazione di inefficienza, inefficacia e iniquità 

Se ci si domanda cosa sia la classe media e chi siano gli individui che la compongono, non è facile dal punto di vista economico rispondere in maniera univoca. Lo è forse dal punto di vista sociologico, ma non è questo il punto di vista che qui ci interessa. A lume di logica, quel che a mio modo di vedere rileva è il fatto che la classe media comunque la si definisca altro non è se non la parte della popolazione che confina con quella meno abbiente. Se come nel caso dell’Italia è l’intero Paese a essersi impoverito, la classe media diventa quella maggiormente in allarme. Quella più vulnerabile, come si dice, o, se si preferisce, a rischio di povertà. Quella che potrebbe ritrovarsi a sperimentare una condizione che pensava di aver definitivamente allontanato. Quella su cui finisce, di conseguenza, per concentrarsi l’attenzione di molti.
 
Ma si commetterebbe un errore focalizzando l’attenzione sulla sola classe media. Perché nel caso italiano è l’intero Paese che da oltre vent’anni, giorno dopo giorno, perde posizioni (ovviamente, in termini relativi). In altre parole, prima della crisi del ceto medio esiste una crisi dell’intera collettività nazionale. Una crisi che non necessariamente colpisce tutti gli italiani in egual modo ma di cui diventa impossibile comprendere le ragioni se non se ne comprende la natura generale. 

Da oltre vent’anni, l’Italia cresce meno dei Paesi a noi più vicini, come la Francia, la Germania, la Spagna, o, se si preferisce, dell’intera area-euro e per poco più di un punto percentuale all’anno. Quando, come nel nostro caso, il fenomeno si ripete con regolarità per un quarto di secolo, ci si ritrova improvvisamente molto più indietro degli altri. Impoveriti, come Paese, prima ancora che come singoli. Se non ci si propone di risolvere il problema che riguarda tutto il Paese, non se ne esce. Litigare, come stiamo facendo da anni, per ottenere, ognuno di noi, una fetta appena appena più grande di una torta che diventa ogni giorno più piccola è il segno della nostra incapacità di vedere il problema ed affrontarlo. E per affrontarlo bisogna pagare dei prezzi che non siamo affatto disposti a pagare. 

Il nostro sistema fiscale è stato oggetto, negli ultimi anni, degli interventi più disparati ed estemporanei. La cui natura episodica frutto dell’approssimazione e della superficialità ha contribuito a rendere il sistema fiscale quello che oggi è un sistema incomprensibile e ingestibile. Anche in questo caso prima di pensare a questo o a quel contribuente bisognerebbe pensare al sistema in quanto tale: al fatto che esso è attualmente una rara combinazione di inefficienza, inefficacia e iniquità. 

È difficile sostenere, ad esempio, che esso penalizzi la classe media se non si specifica quale tipo di contribuente si ha in mente, se un lavoratore dipendente o autonomo, se titolare o meno di redditi diversi dal reddito da lavoro. Anche in questo caso, si usa il termine classe media intendendo con esso cose di volta in volta diverse. Il che ovviamente rende difficile ogni tentativo di capire se e come intervenire. Tutto ciò premesso, il peso della tassazione è eccessivo e la sua riduzione dovrebbe essere un obiettivo di qualunque esecutivo. 

A rendere più difficile la situazione di quello che impropriamente viene definito ceto medio, in molti, poi, dicono vi sia anche la divaricazione nel mercato del lavoro collegata al fenomeno della over-education. Su questo punto è bene essere molto chiari (anche se, forse, impopolari). L’istruzione, soprattutto quella superiore, è o dovrebbe essere, un investimento. Se ci si laurea in una materia qualunque e poi ci si deve adattare a fare altro è semplicemente perché quella scelta educativa non è stata valutata come doveva e cioè avendo in mente le prospettive di occupazione futura. Ma molti italiani pensano che non solo l’università sia un diritto ma anche trovare poi un lavoro coerente con la laurea ottenuta (possibilmente sotto casa) sia un diritto. Ma non è così. E, per chiarezza, non c’è nulla nella Costituzione che lo lasci pensare. Forse dovremmo usare nei confronti dei giovani un linguaggio di verità.

da Formiche, gennaio 2023

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