Eco sbornia: stop difficile

In Europa cresce il ripensamento sul Green Deal: tra vincoli, interessi e ideologia, tornare a una strada più ragionevole sarà difficile

24 Ottobre 2025

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Un po’ alla volta in Europa sta emergendo la consapevolezza che il “green deal” sia da ripensare. Non a caso alla recente New York Climate Week l’Europa s’è limitata all’ennesima dichiarazione d’intenti, tanto più che sono numerosi gli uomini d’impresa che hanno preso le distanze dalle politiche comunitarie in tema di riscaldamento globale. Già un anno fa un sondaggio condotto in Germania tra i responsabili delle maggiori aziende aveva rivelato che la transizione verde non è tra le cinque priorità.

Molti capiscono che, al di là di ogni disquisizione sull’origine antropica o meno del cambiamento climatico, gli sforzi europei per limitare il CO₂ sono irrilevanti su scala globale e non è detto che sia razionale destinare tante risorse in quella direzione, invece che puntare a interventi che impediscano le peggiori conseguenze del cambiamento climatico.

Non è scontato però che alle parole seguano i fatti, e le ragioni sono tante. Lo conferma una lettera firmata da oltre cento imprese e inviata agli europarlamentari per chiedere che non si abbandonino i vecchi obiettivi. Nel testo si domandano espressamente “politiche di supporto e risorse finanziarie” per le politiche verdi, insistendo – ad esempio – che gli obblighi sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale non siano limitati alle grandi imprese, ma valgano per una platea ben più vasta.

Alla fine, tutto appare abbastanza semplice. Anni e anni di politiche e di retorica hanno prodotto una cultura diffusa e un tessuto d’interessi schierati a difesa dell’ideologia ambientalista. Ogni giorno constatiamo che non c’è manager d’azienda che, se intervistato, non utilizzi nella maniera più disinvolta tutta una terminologia a base di “sostenibilità” e “neutralità climatica”.

La formazione universitaria e quella interna alle stesse strutture produttive spingono in tale direzione e hanno creato un nuovo senso comune delle élite economiche.

Oltre a ciò, ovviamente, c’è l’esigenza di tenere in vita e far prosperare realtà economiche che sono nate proprio sulla base di stimoli politici: che non rispondono in primo luogo ai consumatori, ma ai decisori pubblici. Non è soltanto un problema di fondi statali (ossia di aiuti diretti), ma anche di leggi e regolamenti (ossia di aiuti indiretti). Tornare su una strada più ragionevole, allora, non è certo impossibile, ma richiederà sforzi significativi e una notevole determinazione.

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