E se «uberizzassimo» la pubblica amministrazione?

Nel suo nuovo libro Yuval Levin offre rimedi “dispersi e individualisti” per una “repubblica fratturata”

7 Novembre 2016

Il Sole 24 Ore

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Gli Stati Uniti sono «una repubblica fratturata». Finora si è cercato di spiegare l’affermazione di Donald Trump fra i candidati repubblicani, o il sorprendente successo di Bernie Sanders fra i democratici, con qualche considerazione generica sulla polarizzazione della politica e sull’insoddisfazione delle classi medie. Nel suo ultimo libro, Yuval Levin, saggista di classe e direttore del «National Affairs», analizza le tendenze di lungo periodo che hanno determinato l’impazzimento della politica americana.

C’è uno scollamento fra la realtà e la narrazione dominante sia a destra che a sinistra. «I Democratici parlano di politiche pubbliche come se fossimo ancora al 1965 e il modello di welfare della Great Society potesse rispondere ad ogni nostra esigenza. I Repubblicani parlano come se fosse ancora il 1981 e la “Reagan revolution” fosse la cura per tutti i nostri mali. Non c’è da stupirsi se l’opinione pubblica è insoddisfatta».

I partiti tradizionali, gli spezzoni di classe dirigente che si riconoscono nell’uno o nell’altro, sono prigionieri della nostalgia. «Il predominio demografico dei baby boomers si è tradotto in un predominio economico e culturale». Il centro della scena lo occupa il ricordo della loro giovinezza, di quella società culturalmente coesa e capace di offrire sicurezza e solidità sul piano economico che erano gli Usa degli anni 50 e 60: «un’epoca in cui per trovare un buon lavoro bastava presentarsi alla fabbrica più vicina o in un ufficio in centro», per citare Barack Obama.

A sinistra, la nostalgia è per l’epoca d’oro del consenso keynesiano, per un sindacato fortemente radicato, per il primato della politica allora indiscusso. A destra si rimpiange la centralità della famiglia, il rispetto per le convenzioni sociali, le buone cose di pessimo gusto. Quel mondo è stato in realtà distrutto e dalla destra e dalla sinistra, e da qualcosa di più grande di loro: «la sinistra combatteva le rigidità culturali, soddisfatta dal consenso economico; la destra combatteva le rigidità economiche, soddisfatta dal consenso culturale».

C’è stata una«liberalizzazione» della società americana che ha abbracciato sia la politica che l’economia, che è stata assieme i diritti civili e la drastica diminuzione dell’aliquota marginale dell’imposta sul reddito, l’accettazione diffusa dell’omosessualità e la deregulation delle aviolinee. «Per alcuni versi, internet incarna il genere di società che stiamo diventando: decentrata, personalizzata e individualizzata». Ma decentralizzazione, personalizzazione e individualizzazione precedono l’affermarsi di internet. La rete stessa è l’esito più che la causa di un modello sociale che cerca di riconoscere all’individuo lo spazio più ampio possibile, per provare ad essere se stesso.

Tutto bene? Non proprio. Non per giocare a tesi e antitesi, ma per amor di realismo, Levin invita a comprendere come ogni medaglia abbia il suo rovescio. L’età contemporanea vede all’opera quattro grandi forze: l’apertura degli scambi internazionali, la crescente automazione della produzione, una libertà di movimento delle persone meno compressa che in passato, una maggiore flessibilità. Ciascuna ha prodotto esiti grandemente positivi, rendendo possibile una più vasta divisione del lavoro, ma ha anche eroso il capitale di certezze delle persone a reddito basso. Per trovare un lavoro, non è più sufficiente bussare alla porta di un negozio vicino casa.

Per Levin, esisterebbe un trade off fra la protezione degli interessi dei lavoratori (intesi come gruppo organizzato) e quelli dei consumatori: e negli Stati Uniti di oggi questi ultimi, per la prima volta, stanno avendo la meglio. Per confortare i lavoratori senza danneggiare i consumatori, bisogna accertarsi che l’ascensore sociale funzioni. Ma questo richiederebbe di «venire alle prese con clientelismi e favoritismi, con la tendenza delle politiche pubbliche di venire incontro a gruppi di interesse ben radicati, ammanigliati e facoltosi, a spese del resto della popolazione».

Martedì la Casa Bianca se la disputano due illustri rappresentanti di questi circoli autoreferenziali. Non si può garantire la mobilità sociale provando a “spingere” chicchessia, se rimangono colli di bottiglia, strozzature che impediscono, nei fatti, al merito individuale di ottenere soddisfazione. Le difficoltà vengono dal settore pubblico, che continua a seguire il modello della «tecnocrazia del secolo scorso». Ma anche dalla nostalgia egemone: che impedisce la formulazione di proposte davvero innovative.

Un solo esempio. Se riformare la scuola appare impossibile, perché non provare a stimolare la concorrenza alle scuole che già ci sono? La battaglia per il voucher e la “school choice” ha poco a che vedere col “feticismo delle privatizzazioni”: è semmai un modo per cercare di garantire gli obiettivi del vecchio welfare, senza pagare l’inevitabile pedaggio all’inefficienza delle burocrazie. Se c’insegna qualcosa il mondo di internet e dei social network, dovrebbe essere che «le competenze necessarie per prendere decisioni complesse non sono concentrate nelle mani di un piccolo gruppo di esperti, ma sono disperse tra tutti e il mezzo migliore per aggregarle sono le scelte individuali in una società diversificata». Bisognerebbe “uberizzare” la pubblica amministrazione, ma è impossibile finché la sinistra vuole mantenere il potere di redistribuire risorse secondo logiche discrezionali, e la destra non accetta che il potere politico perda le sue funzioni d’indirizzo culturale.

I conservatori, riflette Levin, «dovrebbero pensare a mantenere le condizioni necessarie ad una vita morale, costruendo sotto-culture coesive, attraenti e morali negli strati intermedi (e intermedianti) della società, anziché lottare per assumere il controllo delle vecchie istituzioni di una cultura “mainstream” che un tempo era consolidata». Sinistra e destra dovrebbero «cercare rimedi dispersi e individualisti per i mali particolarmente rilevanti di una società dispersa e individualista». Finché continueranno a vivere nel mondo di ieri, i falsi profeti avranno gioco facile.

Yuval Levin, The Fractured Republic: Renewing America’s Social Contract in the Age of Individualism, Basic Books, New York, pagg. 272, $ 27,50

Da Il Sole-24 Ore Domenica, 6 novembre 2016

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