Quelle disuguaglianze che stimolano la crescita

Intervista ad Eugenio Somaini, autore del libro "L'uno percento più ricco" edito da IBL Libri

10 Febbraio 2023

Economy

Argomenti / Economia e Mercato Teoria e scienze sociali

Qualsiasi tentativo di redistribuzione della ricchezza in senso ugualitario avrebbe come conseguenze un minore impegno produttivo e perdite per le fasce deboli. È la tesi che sostiene l’economista Eugenio Somaini

Le disuguaglianze economiche non sono contro natura a patto che non siano il risultato di azioni illegittime o estorsioni. Chi si arricchisce – rispettando le leggi – è colui che è capace, ha dei meriti, si impegna, ma è spesso vittima di invidia sociale. Misure correttive della distribuzione della ricchezza, in senso marcatamente ugualitario, avrebbero come conseguenze un minore impegno produttivo dei soggetti capaci e perdite significative per larga parte della popolazione, comprese le fasce deboli. È la tesi che sostiene Eugenio Somaini (Como, 1941), docente di Politica economica (prima a Bologna, poi a Catania e Parma, ora in pensione), nel suo ultimo libro, dal titolo provocatorio: “L’uno percento più ricco. Perché le disuguaglianze possono essere benefiche“, pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni.

«Le disuguaglianze – sostiene Somaini – sono la naturale conseguenza del fatto che gli individui sono diversamente dotati di capacità, diversamente impegnati a svilupparle, motivati a esercitarle e metterle a frutto». Per Somaini, «a differenza di quanto riteneva John Rawis, il possesso di tali qualità non dà luogo per coloro che ne sono titolari ad alcun debito nei confronti di altri o della società in generale e non conferisce alla collettività, o allo Stato, alcun diritto particolare nei loro confronti. Un soggetto, che sia naturalmente dotato di capacità che gli hanno consentito di procurarsi un reddito elevato, non ha obblighi compensativi nei confronti di coloro che di tali capacità sono privi. Per lo stesso motivo, coloro che ne sono dotati, ma non ne fanno uso a fini di reddito, non sono tenuti a compensare la collettività per il gettito fiscale che tale scelta ha fatto mancare».

Volendo sintetizzare?
Per loro stessa natura le capacità personali sfuggono a una condizione di uguaglianza. L’adozione di misure che eliminano o riducono privilegi generatori di diseguaglianze liberano energie e potenzialità che possono contribuire al formarsi di disuguaglianze maggiori. La nozione di uguaglianza di opportunità è intrinsecamente contraddittoria e non rappresenta una valida alternativa all’egualitarismo tradizionale.

Secondo lei una condizione di uguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza è impossibile non solo da realizzare, ma anche da immaginare.
Qualsiasi tentativo di realizzare l’uguaglianza sarebbe destinato al fallimento e avrebbe come solo effetto quello di sostituire a delle ineguaglianze che si sono formate legittimamente attraverso regolari rapporti di mercato un sistema di ineguaglianze arbitrarie e perciò ancora più offensive. Il livellamento dei redditi ostacolerebbe la mobilità sociale ed implicherebbe un sacrificio di potenzialità e quindi perdite per tutta la collettività. Il perseguimento di obiettivi di redistribuzione ugualitaria – fa sapere ancora Somaini – implicherebbe sistematici e ricorrenti aggiustamenti del prelievo fiscale e comprometterebbe la sua prevedibilità.

Perché proprio l’uno per cento della popolazione?
Mi rifaccio all’economista Piketty. La concentrazione del reddito e della ricchezza, a cui lo studioso francese allude, è un fenomeno multiforme di cui si parla molto e riguardo al quale vengono espressi giudizi generalmente assai negativi, spesso basati su una conoscenza assai limitata del fenomeno. La tesi che sostengo è che in genere non sempre quei redditi e quei patrimoni sono frutto di rapporti tipicamente di scambio legittimi e consensuali, e che il loro livello particolarmente elevato ha origine dall’apprezzamento dato dal pubblico dei servizi o dei beni che i titolari di quei redditi hanno fornito.

Di capacità, cioè di leve per raggiungere i propri obiettivi, sono dotati anche coloro che non rispettano la legge.
Certo. Non è affatto detto che le persone con elevate capacità siano sempre oneste. I casi di delinquenti altamente capaci esistono e vanno trattati come tutte le attività criminali. Le mie considerazioni si riferiscono solo, come ho detto prima, a guadagni ottenuti con mezzi leciti e sulla base di circostanze oggettive. Non è nemmeno detto che gli esercizi legittimi di capacità particolari debbano per forza generare redditi elevati. Quegli esercizi possono avere carattere disinteressato o addirittura altruistico ed i loro frutti possono essere forniti a un prezzo assai basso o gratuitamente. È anche possibile che la gratuità delle fruizioni sia generatrice di redditi.

Ci fa un esempio?
Beh, quando una catena televisiva offre gratuitamente o ad un prezzo assai basso dei programmi. La loro fruizione offre alla stessa catena televisiva informazioni sui gusti degli spettatori che, si possono vendere a produttori di altri beni o servizi. In casi di questo tipo il fenomeno assume la forma di una produzione privata di beni pubblici.

Cosa sono per lei le capacità?
Non trovano espressione soltanto nella comprensione di fenomeni e circostanze, ma anche nella disponibilità a correre dei rischi che, verificandosi, possono vanificare completamente i risultati perseguiti o trasformarli in perdite. Particolare rilevanza ha anche la capacità di collaborare con altri alla realizzazione di obiettivi condivisi o quella di esercitare leadership, e cioè di orientare le azioni di coloro che alla leadership sono soggetti verso obiettivi desiderati, solitamente, ma non necessariamente, generatori di redditi. Ho usato il termine meta-capacità per designare questi casi di esercizi interattivi di capacità.

Capacità, sì. Ma la fortuna?
La fortuna, nelle sue molteplici forme, è un elemento decisivo nella formazione della ricchezza. Il carattere aleatorio dei fenomeni rappresenta già di per sé un meccanismo selettivo che esalta il coraggio e l’innovazione.

Chi costituisce il nucleo dei ricchissimi?
Imprenditori innovatori, dirigenti di imprese o di altre istituzioni private che hanno finalità di lucro, professionisti altamente qualificati (avvocati, notai, medici, ingegneri, architetti), soggetti che operano nel settore degli spettacoli (artistici o sportivi). Nel caso italiano i redditi dell’1 per cento più ricco corrispondono all’8,7 per cento del reddito complessivo del Paese. Comunque, i valori dei patrimoni mutano continuamente e possono subire forti apprezzamenti o deprezzamenti. L’italiano più ricco, se vuole saperlo, è Giovanni Ferrero padrone dell’impresa che produce la Nutella. Il suo patrimonio personale, secondo le stime più recenti, ammonta a 36 miliardi di euro.

Immagino non metta sullo stesso piano reddito e patrimonio.
Il reddito è un flusso che si forma in un certo arco di tempo. Di solito, si considera quello annuale. Il patrimonio è uno stock, fa cioè riferimento a un singolo momento. I patrimoni possono formarsi per accumulazione di redditi del passato o come aspettative riguardo a redditi futuri. Il livello dei redditi è determinabile in modo oggettivo attraverso la contabilità, quello dei patrimoni è frutto di aspettative di singoli individui. I valori dei titoli patrimoniali sono il risultato di rapporti di mercato tra soggetti che hanno aspettative diverse. Un reddito può derivare anche da un guadagno in conto capitale (un capital gain) e cioè, non da un’attività direttamente produttiva, ma dalla vendita di qualcosa ad un prezzo più elevato di quello che in precedenza si era pagato per ottenerla.

Qual è il Paese in cui c’è maggiore distacco tra i ricchissimi e il resto della popolazione?
Tra i Paesi più sviluppati, quello nel quale la quota del reddito nazionale detenuta dal primo percentile è più elevato, è rappresentato dagli Stati Uniti (con un valore del 19%), l’Italia – come già detto – è dell’8,7%. Si deve tenere presente che si tratta di redditi al lordo delle tasse e che in Italia queste ultime sono relativamente basse.

Perché molti liberisti sono contrari alla tassa sulle successioni?
Non è detto che tutti i liberisti siano contrari alla tassazione delle successioni. Alcuni ritengono, comunque, che una forte tassazione dei patrimoni scoraggerebbe dall’impegno produttivo, dalla formazione del risparmio e da iniziative vantaggiose per terzi. Non si risparmia e accumula solo per sè ma anche e a volte soprattutto per persone che ci sono care o istituzioni che riteniamo benemerite.

Veniamo al sistema fiscale italiano ideale.

Credo dovrebbe ispirarsi ai criteri di: semplicità, per rendere più facilee l’applicazione; di prevedibilità, per consentire ad imprese e ad individui di formulare previsioni, progetti; e di flessibilità, per adattarlo al mutare delle circostanze, mantenendo le caratteristiche fondamentali. Potrebbe prevedere un tasso di prelievo molto basso – e addirittura negativo per i redditi più bassi – un criterio di proporzionalità e cioè, con aliquota fissa o flat per i redditi fino al limite inferiore del primo percentile, un’aliquota sensibilmente superiore nella misura del 5% o del 10% a quello applicato alle fasce che si collocano fino al limite superiore del secondo percentile. Il sistema fiscale auspicabile dovrebbe anche adattarsi in modo estremamente semplice al mutare delle circostanze, e cioè con aumenti o diminuzioni simultanee e di uguale ammontare per tutte le aliquote, mantenendo invariato il profilo che ho descritto prima.

Qual è alla fine il ruolo che assegna allo Stato?
Lo Stato deve fare il necessario e quello che compete solo a lui. Cioè, produrre beni pubblici, quelli ai quali tutti possono accedere e dei quali possono fruire in condizioni di non rivalità. Per esempio, la difesa, la sicurezza, le informazioni rese pubbliche, la possibilità di muoversi liberamente sul territorio. Stesso discorso per i servizi. Lo Stato si impegna a favorire l’accesso gratuitamente a tutti quelli che ne hanno bisogno, coprendo le spese con un prelievo proporzionale al reddito.

da Economy, febbraio 2023

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