Democrazia direttissima. Meglio il sorteggio del M5S al governo

L'ultima infatuazione di Beppe Grillo: il superamento delle elezioni attraverso meccanismi di selezione casuale della classe politica

29 Giugno 2018

Il Foglio

Massimiliano Trovato

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Contrordine, cittadini: bando alla democrazia diretta, è l’ora della democrazia direttissima. L’ultima infatuazione ingegneristico-istituzionale di Beppe Grillo – sempre più disilluso nei confronti del mostro che ha creato e pertanto afflitto da un’ormai conclamata sindrome di Crono – è quella per l’autore del volume “The End of Politicians” Brett Hennig, pittoresco attivista folgorato sulla via di Toni Negri e convertito, per una curiosa eterogenesi dei fini, alla causa del sorteggio. Sì, si tratta esattamente di quel che immaginate: del superamento, cioè, delle elezioni attraverso meccanismi di selezione casuale della classe politica. Ecco allora l’idea, lanciata dal comico genovese sul già sacro blog sconsacrato, con un post che non è che una trascrizione di un recente Ted Talk di Hennig (certi amori finiscono, ma la diffidenza pentastellata per i libri rimane): perché non fare del Senato una camera dei cittadini, popolandolo di membri estratti a sorte? Addio alle parlamentarie, sotto con la bella lavanderina.

A ben vedere, forme di sorteggio sono state impiegate con successo nella distribuzione delle cariche pubbliche sin dall’antichità. L’esempio più vistoso – lo cita anche Hennig-Grillo – è quello di Atene, dove in epoca classica i cinquecento membri della boulé – l’organo depositario del potere d’iniziativa legislativa – erano nominati per sorteggio, in numero di cinquanta per ognuna delle dieci tribù; e dove persino la presidenza del collegio era demandata ogni giorno per sorteggio a un epistate, che aveva il compito di dirigere la discussione. Magistrature assegnate con sorteggio si rinvenivano anche nella Roma repubblicana e, in epoca comunale, in numerose città italiane, come Firenze, Siena e Perugia. A Venezia, l’elezione del doge – la suprema figura politica della Serenissima, destinataria di un mandato a vita – era governata da un sistema misto: una complicata iterazione di voti e sorteggi, il cui protagonista era il balotìn, il bambino tra gli otto e i dieci anni designato a estrarre dall’urna le palle che individuavano i membri del Maggior Consiglio che avrebbero preso parte all’elezione.

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