Democrazia della scienza

La lezione del grande divulgatore Piero Angela, pianista non laureato

16 Agosto 2022

Il Foglio

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Gli italiani che hanno una qualche cognizione di come funziona il loro sistema immunitario, quelli che sanno che cos’è una supernova, quelli che hanno imparato in cosa consisteva la genialità di Leonardo da Vinci, al di là delle leggende scolastiche, è molto probabile che l’abbiano appreso da Piero Angela. Nei quarantuno anni dalla prima puntata di “Quark”, e attraverso diversi programmi speciali sui dinosauri, il cervello, la storia etc., Angela ha rappresentato la risposta più limpida a due grandi pregiudizi che segnano in profondità la cultura italiana. Il primo è il pregiudizio di marca crociana, per cui le scienze occupano una posizione ancillare rispetto alla cultura umanistica. Il secondo è la tendenza degli studiosi a parlare quanto più possibile attingendo a un registro impeccabile per i canoni del rispettivo settore scientifico disciplinare, ma volutamente oscuro, come se per penetrare nel vivo di un’idea o di un esperimento si dovesse pagare un pedaggio. Pena l’accusa di mancanza di serietà, di rigore, peggio ancora: di fare divulgazione.

Angela ha coltivato le scienze da dilettante appassionato e curioso, dopo una lunga gavetta come giornalista e un’attività artistica da pianista jazz, ricordando a tutti che non servono necessariamente una laurea o un dottorato per comprendere argomenti complessi. E ha praticato con maestria proprio la divulgazione, facendo del suo modo di comunicare la scienza, che a molti giovani comunicatori non piaceva perché troppo didascalico, uno stile unico in Italia e forse non solo. Angela era come quegli artisti o artigiani che scoprono o inventano una nuova forma estetica o un nuovo modo di costruire qualcosa. Il suo grande mestiere era fatto di parole scelte con cura e immagini o documentari scelti con ancor più cura. I turisti che ascoltano e ascolteranno per anni la sua voce narrante nella multivisione dei Fori di Augusto e Cesare a Roma possono capire che comunicare e coinvolgere un ascoltatore non consiste nel mettere in fila con voce impostata parole in modo corretto e intelligibile, ma, anche quando si narra la storia dell’antica Roma, nell’armonizzare le informazioni storiche con i nostri condizionamenti culturali e sonori.

Ancora di recente, nel discorso che aveva regalato agli studenti dell’università IULM per l’inaugurazione dell’anno accademico, Angela aveva ripreso un aneddoto a lui caro. Anni fa, gli aveva scritto una signora che, dopo averne seguito le trasmissioni televisive, aveva comprato i suoi libri, se li era letti e voleva complimentarsi per la scrittura così “scurrile”. Voleva dire scorrevole, com’è ovvio. Per Angela questo non era un aneddoto divertente, col quale compiacersi del vocabolario zoppicante del volgo. Era invece una medaglia: lui era in grado di raggiungere persone che magari non avevano finito le medie o il liceo. Riusciva a insegnare loro delle cose, attività nella quale i loro professori avevano spesso desolatamente fallito.

Lo faceva nella convinzione che, mentre non tutti possono o debbono diventare scienziati, tutti possono provare a comprendere, per quanto ciascuno a suo modo, come funzionano la fermentazione oppure i processi alla base dei vaccini a MRNA. Si tratta certamente, in alcuni casi, di cose difficili. Ma anche le cose difficili, spiegate con pazienza e linguaggio piano, possono essere comprese, almeno nei loro tratti essenziali, da molti. Non sono patrimonio esclusivo di pochi “iniziati”.

Angela apparteneva a una scuola di divulgazione che ha accompagnato l’affermarsi della big science, che, dopo la realizzazione della bomba atomica, portava l’uomo sulla luna, scopriva il codice genetico, creava le neuroscienze, etc. Per raccontare in modo cristallino idee e fatti non di senso comune, egli procedeva “testando” esempi, espressioni, immagini, in un costante confronto col pubblico. In questo, contava la scuola del jazz, che è improvvisazione non nel senso di prendere un sax e soffiarci dentro o di appoggiare a caso le mani sul pianoforte, ma della capacità di tessere un dialogo fra chi suona e chi ascolta, complici entrambi del grande gioco della musica.

Angela è stato un implacabile nemico delle pseudoscienze perché non sopportava chi, anziché confrontare con fatti le teorie, le distorceva diffondendo verità perfettamente accordate ai bias cognitivi che influenzano ciascuno di noi, ma truffaldine. Aveva cominciato negli anni Settanta, quando a Rischiatutto Massimo Inardi si presentò come “parapsicologo”. Angela si mise con pazienza a studiare quel che diceva e a smontarlo, anche con l’aiuto del suo amico James Randi, con la forza della logica e del garbo. Ha fondato il Cicap e ridimensionato il cosiddetto “paranormale”, dai maghi di provincia al guru Gustavo Rol, a quel che dev’essere: intrattenimento. Anche gli omeopati sono andati a sbattere contro di lui, dopo averlo portato in tribunale.

In decenni di appuntamenti televisivi settimanali, non scadeva mai nei luoghi comuni. Insisteva su concetti chiave, per esempio ripeteva spesso, quando si avventurava nel territorio delle scienze sociali, che la politica non ha mai prodotto ricchezza, ben consapevole di come molto spesso le più spericolate prestidigitazioni argomentative riescono solo perché la gente dimentica o ignora alcuni fatti basilari.

Con l’esempio prima ancora che a parole, insisteva sul fatto che la scienza non è un insieme di verità: è un metodo per distinguere, fra tutta una serie di affermazioni sulla realtà, quelle che in qualche modo la approssimano e quelle che invece non c’entrano niente. Anche se diceva che la velocità della luce non si può mettere ai voti, il pianista non laureato Piero Angela ha dimostrato che la scienza è democratica, nel senso che è un terreno di gioco con regole condivise a cui possono accedere tutti, al prezzo del proprio impegno e rigore intellettuale. E con la consapevolezza che la costante interrogazione degli esperti serve a sviluppare il proprio pensiero critico, non a sostituire un altare con un altro.

da Il Foglio, 15 agosto 2022

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