Il debito appeso a un filo

La crescita frena mentre la spesa statale aumenta in rapporto al Pil a causa del rallentamento dell'economia mondiale

20 Aprile 2022

Panorama

Argomenti / Politiche pubbliche

La corda del debito potrebbe spezzarsi: con quest’inquietante immagine l’Istituto Bruno Leoni, un centro di ricerche spiccatamente liberista, ha lanciato l’allarme sul futuro dell’Italia. Il messaggio in sintesi è questo: il governo Draghi ha tenuto aperta la borsa della spesa pubblica per aiutare imprese e famiglie durante la pandemia, contando sul fatto che la forte ripresa del Pil, indotta anche dal Pnrr, avrebbe riportato sotto controllo il debito pubblico. Ma l’impennata dei prezzi dell’energia e la guerra in Ucraina hanno scombinato i piani di Palazzo Chigi. La crescita frena, la spesa pubblica aumenta e di conseguenza il rapporto debito-Pil si manterrà su livelli elevati. E ancora una volta saremo nelle mani di un’Europa, meno propensa, però, ad aiutarci. Una visione troppo pessimista?

Il quadro economico approvato il 6 aprile scorso dal governo con il Def, il Documento di economia e finanza messo a punto dallo staff del ministro dell’Economia Daniele Franco, riconosce che la crescita del Pil attesa nel 2022 passa dal 4,7 al 3,1 per cento, e quella per il 2023 dal 2,8 al 2,3, ma prevede anche che il debito scenderà al 147 per cento del Pil quest’anno (contro il 149,4 indicato a settembre) e al 145,2 nel 2023.

«Resta il fatto che l’esplosione del debito pubblico c’è stata» replica Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, «e non ha devastato il Paese perché la Banca centrale europea ha giocato un ruolo fondamentale nel tenere bassi i tassi di interesse di tutte le nuove emissioni di titoli di Stato e quindi a rendere sostenibile il nostro debito».

In effetti, in termini assoluti il debito pubblico italiano ha raggiunto il suo primato storico nell’agosto scorso, superando i 2.734 miliardi, per poi ridiscendere sotto quella quota record. Ma il centro di ricerche Ref lo vede schizzare a 2.778 miliardi nel 2022 e oltre i 2.800 nel 2023. Un’evoluzione che potrà essere arginata se l’economia italiana si rimetterà a salire.

«Spero di sbagliarmi, ma secondo me le previsioni di crescita del governo per il 2022 sono un tiro di dadi. La stima di un più 3,1 per cento nel 2022 è una speranza, ponderata certo, ma non una previsione» aggiunge Stagnaro. «Troppe le incognite, nessuno ha la più pallida idea su come andranno le cose con la Russia. Non mi stupirei se l’Italia crescesse di meno. E ogni fattore che indebolisce lo sviluppo, come per esempio uno stop alle importazioni di gas russo, fa aumentare il debito sia in valore assoluto sia in rapporto al Pil».

Accanto alle incertezze sull’andamento dell’economia e sulla solidità della ripresa, ci sono i dati sulla spesa pubblica, esplosa con ristori, bonus, sostegni alle imprese. «E negli ultimi mesi si sono aggiunti gli interventi per mitigare gli aumenti dei prezzi dell’energia: dal maggio dello scorso anno al maggio del 2022 lo Stato ha impegnato poco meno di 20 miliardi di euro sparpagliati su una dozzina di misure diverse. lo non credo che nei prossimi 12 mesi il governo spenderà altri 20 miliardi, ma è anche improbabile che non farà nulla per ridurre le bollette e il prezzo dei carburanti. Quindi ci sarà un’ulteriore fonte probabile di emorragia di finanza pubblica che andrà ad appesantire i conti. Temo che quando vedremo il bilancio 2022 a consuntivo scopriremo una crescita più bassa e una spesa pubblica maggiore».

La scommessa di Supermario potrebbe dunque rivelarsi troppo fragile. «Il Paese si trova così a pagare un tributo altissimo all’eccessivo ottimismo del governo, che aveva puntato tutto sulle speranza di una inarrestabile ripresa post-Covid» commentano all’Istituto. «Non si può certo accusare l’esecutivo di non aver saputo prevedere l’invasione dell’Ucraina e le sue enormi conseguenze politiche ed economiche. Ma quando, a fine settembre 2021, è stata impostata la strategia di bilancio i segni della crisi energetica erano davanti agli occhi di tutti. Che la situazione fosse critica era talmente evidente che il governo stesso aveva già varato i primi decreti per tagliare la bolletta nel terzo trimestre e si apprestava a fare altrettanto per il quarto».

Un’Italia piena di debiti e meno veloce del previsto si troverebbe ad affrontare un mondo dove le banche centrali sono meno propense ad acquistare titoli di Stato, i tassi di interesse aumentano e l’inflazione torna a correre. «Per il governo sarà più costoso indebitarsi dopo quasi un decennio in cui il debito era quasi gratis» dice Stagnaro. «Mentre è vero che l’inflazione ha un effetto positivo perché favorisce sempre il debitore, ma lo Stato dovrà pagare cedole più elevate a chi ha sottoscritto i titoli legati all’andamento dei prezzi, come il Btp Italia. E l’aumento dei prezzi dell’energia avrà un effetto depressivo sul Pil. Tutti questi fattori complicano il quadro in cui opera il governo».

Va aggiunto che il governo Draghi non sta facendo molto debito «buono», cioè orientato agli investimenti che rendono il Paese più ricco, ma è stato costretto a prendere provvedimenti, come gli sconti sulle bollette, che con gli investimenti non hanno nulla a che fare. Secondo l’Istituto Bruno Leoni il nostro futuro sarà legato alle decisioni di un’Europa a cui continuiamo a chiedere di tenere conto dell’eccezionalità italiana. Solo che, questa volta, l’ondata recessiva travolge anche gli altri e forse perfino più duramente di quanto accade a noi.

«Con la crisi del Covid l’eccezionalità del caso Italia era giustificata, in effetti siamo stati colpiti per primi e violentemente senza averne colpa. Ma quando la guerra sarà finita non avremo molte giustificazioni. È nostra responsabilità dipendere troppo dal gas russo o far correre la spesa pubblica. Ed è difficile in queste condizioni chiedere agli altri di aiutarci, soprattutto se gli altri stanno anche peggio di noi. Teniamo conto anche del fatto che l’Italia ha ottenuto più di tutti dal Next Generation Eu ed è l’unico Paese, insieme a Grecia e Romania, ad aver chiesto e ottenuto l’intero ammontare dei prestiti. Abbiamo scelto di spremere al massimo questa opportunità, giustamente, ma non abbiamo fatto nulla per tenere sotto controllo la spesa pubblica. Presentarsi un’altra volta con il cappello in mano non sarà facile».

Il governo, sottolinea il think tank Bruno Leoni, si trova in un anno pre-elettorale e all’indomani di un’esplosione senza precedenti del debito, a gestire una situazione difficilissima e senza alcuno spazio fiscale da sfruttare per accompagnare il raffreddamento dell’economia. Vedremo lo spread risalire e il governo rimettere le mani nelle tasche degli italiani per sistemare la finanza pubblica. «A forza di tirare la corda, si arriva a un punto in cui si spezza: la sensazione è che ci siamo pericolosamente vicini».

da Panorama, 20 aprile 2022

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