Dalla Tomba alla libertà

Testimonianza di Lorent Saleh, prigioniero di Maduro

23 Settembre 2019

La Nuova Bussola Quotidiana

Argomenti / Teoria e scienze sociali

“Mi chiedo tutti i giorni come il Venezuela sia potuto arrivare fino a questo punto. Quelli della generazione dei miei genitori sono nati nella libertà e non immaginavano di poterla perdere. La davano per scontata Una volta che hai perso la libertà, è però molto difficile recuperarla”, ci dice Lorent Saleh, 30 anni anche se ne dimostra molti meno. Lo abbiamo incontrato a Milano, ospite del think tank Istituto Bruno Leoni (Ibl). Lui, la libertà, l’ha persa nel 2014 e l’ha riacquistata solo un anno fa, il 12 ottobre 2018, quando è stato esiliato in Spagna.

Il primo carcere in cui è stato internato è chiamato La Tomba: cinque piani sotto terra, con celle di tre metri per due, luce sempre accesa, pareti bianche, niente ore d’aria, in completo isolamento. È una tortura psicologica, studiata apposta per far impazzire i prigionieri. “Quando chiudono la porta – spiega Saleh – per un figlio unico come me, sentire la morte senza lasciare un figlio, un erede, provoca un’angoscia senza fine. Ero stanco, mi sono messo a letto e la prima cosa che ho pensato è stata: non sono riuscito ad avere un figlio. Quanto vale una sedia? Quanto vale un orologio? Quanto vale il poter respirare all’aria aperta? Vedere la luce del sole o quella della luna? Poter vedere un colore? Non ci facciamo mai queste domande, siamo convinti che quando usciamo di casa, la luna sarà sempre lì e domani mattina il sole sorgerà, possiamo guardare l’orologio tutti i momenti per sapere che ora è. L’essenziale è invisibile ai nostri occhi. Non l’ho capito finché, (nella Tomba, ndr), non c’era una sedia per sedermi e non potevo mai sapere che ora fosse. Non sai se hai dormito per dieci minuti o per dieci ore. Se non puoi nemmeno guardarti allo specchio, non ti ricordi nemmeno più chi sei”. “Ci sono tanti modi per torturare un uomo, come la temperatura e la luce. Questa luce – indica il neon della sala milanese dell’Ibl – la potete reggere per qualche ora. Se ci state sotto per tutta una settimana, vi dico io… Fa male alla vista, fanno male gli occhi. Anche se mi fotografavano, le foto non rendono il dolore provocato dalla luce e dal freddo”. Saleh è stato internato nella Tomba per due anni. “Poi mi hanno dato tante di quelle botte, mi hanno conciato talmente male, che sono stati praticamente costretti a farmi uscire da quel buco e trasferirmi in un altro carcere, El Helicoide, che era tutto il contrario della Tomba”

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