7 Luglio 2025
L'Economia – Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Teoria e scienze sociali
«La mano invisibile del mercato, un corno. Quella mano è bianca e indossa un anello con un diamante di conflitti». Questo ponderato commento sull’opera di Adam Smith è stato postato su «X» da Zohran Mamdani, l’enfant prodige della sinistra americana. Nella Grande Mela, infatti, si è imposto nelle primarie democratiche con un programma che include blocco dei fitti, aumento delle tasse per finanziare il trasporto pubblico e negozi di alimentari gestiti direttamente dalla municipalità. Non è detto che Mamdani diventi sindaco ma è riuscito a battere Andrew Cuomo, ex governatore ed esponente di una dinastia politica che aveva una certa confidenza con la macchina del consenso.
Non troppo diversamente, non è detto che il futuro della sinistra italiana siano i No Bezos, che lo invitavano a sloggiare dalla Venezia dove ha organizzato il suo matrimonio. Gli striscioni più benevoli invitavano il fondatore di Amazon a pagare più tasse. E’ senz’altro ingeneroso ridurre una forza politica, o un suo singolo esponente, a una battaglia con gli slogan che si porta appresso. Ma è, più ancora che nelle «idee» considerate un po’ in astratto, dalla scena della battaglia che si vede di che pasta è fatta.
E’ interessante come «anche i ricchi piangano» sia un auspicio che oggi si colora di sfumature non più solo fiscali (l’erario ha bisogno di soldi, andiamo a prenderli dove stanno) ma anche culturali.
Nessuno ha notato con curiosità o simpatia che Bezos, con un mondo di isole tropicali a sua disposizione e potendo scegliere di sposarsi ovunque nel mondo, ha scelto la città d’arte per antonomasia. Lo sposalizio è avvenuto nello stesso luogo dove i nostri nonni, che appena appena si affacciavano al benessere e sognavano di conoscere il loro stesso Paese, andavano in viaggio di nozze. La cosa poteva anche risultarci simpatica. Invece abbiamo enfatizzato i problemi per l’ordine pubblico, la città «immobilizzata» (ma non bloccano le città anche le competizioni sportive, i grandi eventi, e un po’ anche il caldo?), persino lo sfarzo che pure attira fotografi e curiosi. C’è, da questo punto di vista, una simmetria fra New York e Venezia. Il fastidio per la ricchezza privata, quello che mette i Mamdani e i No Bezos al centro dell’attenzione, non viene dai «dannati della terra» ma da gruppi di attivisti che appartengono alla parte più ricca del globo.
L’area metropolitana di New York è l’ottava per Pil pro capite, negli Usa. Nel Veneto quella di Venezia non è la provincia più ricca, ma la regione è la terza nel Paese. Forse è vero che l’interesse per le diseguaglianze sorge quando si intravede il giardino del vicino. A scandalizzarsi per i grandi patrimoni del «top 1%» sono persone che appartengono al «ceto medio mondiale», non dei derelitti. L’irritazione è forse accresciuta da un dettaglio. Bezos è il terzo uomo più ricco al mondo anche se, vale la pena ricordarlo, è figlio di una ragazza madre, poi adottato dal nuovo compagno di lei, un esule cubano dirigente della Exxon. Non ha ereditato il palazzo sul Canal Grande dal babbo. Che si propongono, i nuovi anti-ricchi?
La logica è nota. Ci sono dei signori che hanno un sacco di soldi, se glieli togliessimo non potremmo farne un uso migliore, che un banchetto di nozze?
Immaginiamo non semplicemente di tassare di più Bezos, ma di confiscargli ogni dollaro del suo patrimonio: se lo distribuissimo tra tutti i cittadini americani (compresi neonati e ultracentenari), assegneremmo loro circa 650 dollari pro capite; se concentrassimo gli aiuti tra coloro che si trovano sotto la linea di povertà, verrebbe una donazione di 6.200 dollari ciascuno. Insomma: espropriando Bezos di tutti i suoi beni, potremmo finanziare al massimo un assegno inferiore a un anno del nostro reddito di cittadinanza Qualsiasi iniziativa di questo tipo forse placherebbe l’invidia di alcuni, ma non darebbe ai più poveri che un sollievo temporaneo.
Non c’è un Paese nella storia che sia uscito dalla povertà attraverso i regali. Arricchirsi, incrementare i propri standard di vita, passa al contrario per il «fare» delle cose: beni e servizi che qualcun altro desidera comprare. Perché quelle cose vengano realizzate, non basta la creatività e l’inventiva del singolo. Servono risorse: «capitale». La finanza, nelle sue diverse articolazioni, serve esattamente a mettere risorse a disposizione di chi ha progetti che sembrano promettenti. Non tutti vanno a buon fine. I casi che vanno bene, quelli che generano profitto, alimentano il capitale. La ricchezza degli ospiti di Bezos, a parte forse nel caso di qualche sceicco, non è manna scesa dal cielo ma, se cresce, cresce per ché ha finanziato buone idee a chi le aveva senza disporre dei quattrini necessari per realizzarle.
Siamo sicuri che sia mettendo gli stessi soldi nelle mani di una burocrazia che sosterremo la mobilità sociale? Si dirà che non si dovrebbe espropriare Bezos tutto d’un colpo, ma solo tosare meglio la pecora. Attenzione a pensare che il grande imprenditore «contribuisca» alla società in cui vive solo quando paga le tasse.
Qualche anno fa l’economista William Nordhaus aveva calcolato che un inventore trattiene per sé all’incirca il 2,2% del valore creato dalla sua invenzione. Sicuramente il produttore si appropria di una quota del vantaggio economico, ma la più parte beneficia i consumatori, la cui vita diventa più semplice o confortevole. Amazon ha arricchito i suoi azionisti, ma quel guadagno è una frazione di quanto ha dato a tutti noi: spedizioni più rapide e meno costose, prezzi più bassi, una varietà infinita di merci fra cui scegliere. Pure i No Bezos agitavano bandiere comprate on line.